Perché c’è bisogno di gentilezza

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In questa epoca di conflitti, risse, scontri verbali e non solo, la gentilezza è un’attitudine e una qualità sempre più preziosa. La gentilezza ci aiuta non solo perché è una dimostrazione di buona educazione, rispetto nei confronti di se stessi e degli altri, ma contribuisce a creare un ambiente positivo e armonioso. La gentilezza può dimostrarsi addirittura come un super potere, un antidoto contro l’aggressività e la maleducazione. Avete mai provato a rispondere in maniera gentile, pacata a qualcuno che ci aggredisce o inveisce contro di noi? Il maleducato, l’aggressivo si paralizza. Rimane senza parole perché viene spiazzato dal fatto che gli si risponde con un altro codice verbale. Di fronte ad un atteggiamento gentile si prova un senso di tranquillità.

Circondarsi di persone gentili

Le persone gentili sono persone che spiazzano proprio perché sanno rispondere in maniera controllata, pacata. Ho sempre pensato che sentirmi dire “sei una persona gentile” fosse il complimento più bello che potessi ricevere. Mi piace la gentilezza e anche circondarmi di persone gentili. Penso che piaccia a tutti, ovviamente. Frequentare persone gentili ci mette in una condizione di armonia, serenità e pace. Ho anche sempre pensato che la gentilezza sia una qualità che contribuisce a creare un mondo migliore. Anche un piccolo gesto gentile può avere un grande impatto sulla vita degli altri. Per dirla con Mark Twain ” la gentilezza è ciò che i ciechi possono vedere e i sordi possono sentire”. Un valore universale insomma.

Le caratteristiche

È un gesto di attenzione e che contribuisce a creare un ambiente ricco di armonia. Ecco alcune caratteristiche che la gentilezza può favorire.

  1. Empatia: Essere gentili significa mettersi nei panni degli altri e cercare di comprendere i loro sentimenti e le loro esperienze. L’empatia ci aiuta a rispondere con sensibilità alle necessità degli altri e metterci in ascolto.
  2. Atti di cortesia: La gentilezza si esprime attraverso piccoli gesti quotidiani come ringraziare e dire “per favore” aprire una porta per qualcuno o lasciare il posto su un autobus. Questi atti di cortesia mostrano rispetto e considerazione per gli altri.
  3. Aiuto disinteressato: Essere gentili significa offrire aiuto in maniera disinteressata. Può essere un gesto semplice come aiutare qualcuno a portare dei pesi o offrire supporto emotivo a un amico in difficoltà.
  4. Comunicazione positiva: La gentilezza si riflette anche nel modo in cui comunichiamo con gli altri. Non utilizzare parole offensive o giudicanti, ma usare un linguaggio gentile e costruttivo contribuisce a creare relazioni più armoniose.
  5. Rispetto per le differenze: Essere gentili significa rispettare le diverse opinioni, culture, religioni e stili di vita degli altri. Accettare le differenze e trattare gli altri con rispetto è un segno di gentilezza. Significa essere inclusivi.
  6. Generosità: La gentilezza può anche manifestarsi attraverso atteggiamenti generosi. Donare il proprio tempo, risorse o competenze per aiutare gli altri è un atto di gentilezza che può fare la differenza nella vita di qualcuno.

Il ciclo positivo della gentilezza

La gentilezza non solo fa bene agli altri, ma ha anche numerosi benefici per chi la pratica. Ecco alcuni di questi vantaggi:

  1. Migliora il benessere emotivo: Essere gentili può aumentare il nostro senso di serenità e soddisfazione. Quando facciamo qualcosa di gentile per gli altri, spesso ci sentiamo meglio con noi stessi e sperimentiamo una sorta di “effetto positivo”.
  2. Riduce lo stress: Gli atti di gentilezza possono ridurre i livelli di stress. Aiutare gli altri o fare un gesto gentile può distogliere la mente dai nostri problemi personali e concentrarci su qualcosa di positivo.
  3. Stabilisce relazioni più forti: La gentilezza crea connessioni significative con gli altri. Quando siamo gentili, gli altri tendono a rispondere positivamente e a voler stabilire un legame con noi. Questo può portare a relazioni più forti e durature.
  4. Aumenta l’autostima: Fare del bene agli altri ci fa sentire valorizzati e apprezzati. Questo può contribuire a migliorare la nostra autostima e la percezione di noi stessi.
  5. Promuove la gratitudine: Quando siamo gentili, spesso riceviamo gratitudine e riconoscimento dagli altri. Questo ci aiuta a sviluppare un atteggiamento di gratitudine e apprezzamento per ciò che abbiamo.
  6. Effetto a catena: La gentilezza può avere un effetto a catena. Quando facciamo qualcosa di gentile per qualcuno, spesso ispiriamo quella persona a fare lo stesso per gli altri. Questo crea un ciclo positivo di gentilezza che si diffonde.
  7. Migliora la salute fisica: Alcune ricerche hanno evidenziato che la gentilezza può avere benefici per la salute fisica. Ad esempio, può ridurre la pressione sanguigna e migliorare il sistema immunitario.

A questo punto, visto i grandi benefici della gentilezza, perché il mondo si sta popolando di persone sempre meno gentili? Il primo passo per cambiare viene sempre da noi. Coltiviamo sempre di più atti di gentilezza nei confronti di noi stessi e degli altri. Perché gentilezza genera gentilezza. Io l’ho scritto anche sul mio stato di whatsapp per non dimenticarmelo mai…

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Uscire o non uscire dalla zona di comfort?

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Uscire o non uscire dalla propria zona di comfort? Questo il problema… La zona di comfort è diventata una delle espressioni usate e abusate. Alla stregua di resilienza, consapevolezza, ecc ecc. Ma vale la pena comunque interrogarsi sul significato che l’espressione esprime e sciogliere il dubbio amletico.

Uno spazio di controllo

Se cerchiamo una definizione, il concetto che più ci sembra appropriato è ” Il concetto di zona di comfort si riferisce a uno stato psicologico in cui ci sentiamo al sicuro e non proviamo ansia o paura. È uno “spazio” che conosciamo come il palmo della mano e in cui controlliamo quasi tutto”.

Un’enunciazione di questo tipo esprime tanti concetti:

  • sicurezza
  • assenza di ansia ( apparente)
  • nessuna paura.

La zona di comfort è dunque una sorta di bozzolo che ci avvolge, ci dà l’illusione provare un senso di protezione, di non osare e quindi di non sbagliare, ci infonde sicurezza senza che ci si possa trovare di fronte a situazione di stress o di ansia, appunto. Ma siamo sicuri che sia così? Come la mettiamo con la crescita personale, con l’ebrezza di provare a vivere emozioni nuove, sensazioni diverse? Il punto è proprio questo : ci si cristallizza in una pseudo-condizione di protezione, di routine. Rimaniamo ancorati alle nostre credenze, alle nostre sicurezze, ma poi? Siamo proprio sicuri che sia la vita che veramente vogliamo ? Non ci siamo per caso chiusi in una trappola e buttato via la chiave? Eppure fuori c’è un mondo meraviglioso che ci aspetta.

Sfidare i propri limiti

La prima domanda da porsi per poter uscire dalla nostra comfort zone è che cosa ci impedisce di farlo? Paura di non farcela? Timore di non essere all’altezza? Convinzione di sbagliare? Sono molteplici le motivazioni che ci impediscono di uscire dalla nostra zona di comfort. La base di tutto però è una non capacità di credere in se stessi. Un’assenza di autostima che ci fa pensare di non avere le risorse e le capacità di poter affrontare situazioni non conosciute. La paura dell’ignoto e di non saper come poterlo affrontare. Il punto di partenza è quindi quello di rafforzare il proprio radicamento. Essere radicati, grounding ci aiuta ad affrontare le diverse avversità e situazioni che si possono palesare.

Il radicamento

Nel bel libro appena pubblicato “Yoga Metaforico- Forme corporee e immagini mentali tra hatha e jnana yoga” scritto dalla mia amica e insegnante di yoga Mara Valenti per Anima Edizioni, la metafora dell’asana del guerriero – Virabhadrasana 2- ci insegna che essere ben radicati, ci fa sentire forti. Il guerriero ha anche un petto morbido e questo garantisce una mente calma e lucida. Ma come poter ottenere il radicamento? Lavorando sui propri punti di forza, attingendo alle risorse personali che mettono in luce le nostre capacità e competenze, facendo una disamina di tutte le situazioni in cui siamo stati in grado di raggiungere dei risultati positivi. Un elenco dei nostri successi, partendo dagli esempi più semplici, anche quelli appartenenti al passato. Circostanze alle quali non abbiamo più pensato: piccoli traguardi raggiunti quando eravamo più giovani, a scuola, in famiglia. Poi i primi successi avvenuti nella crescita : in ambito scolastico, professionale. Fermarsi ogni tanto ad autocelebrarsi, farsi pat pat sulla spalla ci aiuta a trovare più fiducia in noi stessi. “Ti ricordi di quella volta in cui…?” La domanda da porsi può essere proprio questa. Impariamo quindi a celebrare i nostri successi, anche dai più piccoli…Si può iniziare dai piccoli passi…Del resto “un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo…” secondo il pensiero di Lao Tzu per rimanere in ambito di guerrieri.

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Cancelliamo il concetto di fallimento

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Bisognerebbe bandire dal vocabolario la parola fallimento. Non significa non voler affrontare il tema, come se nascondessimo la polvere sotto il tappeto. Che cosa significa fallimento? Esiste un concetto universale di fallimento? Se prescindiamo dal termine giuridico che attiene allo stato di insolvenza di un imprenditore, sulla Treccani la definizione di fallimento è : “Esito negativo, disastroso, grave insuccesso: riconoscere l’inutilità dei proprî sforzi, l’impossibilità e incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione.”

Un concetto negativo in sé

La descrizione data dalla Treccani ne mette in risalto la connotazione negativa. Addirittura prefigura la rinuncia all’azione. Una condanna all’inazione perché, considerata la gravità della situazione , vi è una rinuncia totale all’agire. E’ dunque ovvio che chi pensa di incappare in un errore così grave, pensi di aver commesso un’azione che non può non andare incontro ad una reprimenda senza sconti. Ma chi decreta cosa è fallimento o no? La riposta sicuramente è nei modelli della nostra società che il più delle volte, al contrario, è prodiga nel fornire esempi di successo. Anche sul concetto di successo ci sarebbe da discutere. Se dunque, è questo il paradigma, la nostra vita non si uniforma a cliché e modelli di vita universalmente definiti di successo, si è destinati all’insuccesso e al conseguente fallimento. Insuccesso = fallimento.

La paura dell’errore

Essere diversi e non assuefarsi al pensiero dominante può trasformarsi, soprattutto per chi è ancora in una fase di evoluzione personale, in una fonte di grande frustrazione. Recenti fatti di cronaca, purtroppo, come il caso della studentessa diciannovenne dello Iulm, hanno messo in luce l’epilogo tragico a cui il senso di frustrazione può portare. Perché abbiamo paura del fallimento? Perché abbiamo paura di sbagliare? Le risposte sono complesse e attengono soprattutto al nostro bisogno di essere accettati, apprezzati, amati. Ma essere apprezzati per come siamo, senza il bisogno di uniformarsi a canoni che non ci appartengono , è sicuramente il punto di arrivo per uscire dalla sindrome del fallimento. Siamo persone uniche, speciali, con tutte le nostre forze e debolezze.

Imparare ad amarsi e accettarsi

L’accettazione di sé, la consapevolezza del nostro valore a prescindere dall’uniformarsi a criteri che altri vorrebbero scegliere per nostro conto, è un percorso di crescita complesso, ma che porta ad una liberazione interiore impagabile e di grande soddisfazione. Imparare a capire che da ogni errore possiamo rialzarci, apprendere e crescere è una grande risorsa. Impariamo a osservare e guardare eventuali cedimenti come un insegnamento per conoscerci e metterci alla prova. La crescita passa dalla caduta e dalla capacità di rialzarsi . E’ la resilienza, termine ormai usato e abusato, ma è proprio così. Considerare l’errore, lo sbaglio come un maestro da cui imparare per crescere ed evolversi. Senza contare che questo atteggiamento porta con se sé anche un altro importante insegnamento : assumersi la responsabilità delle proprie azioni. La responsabilità è un concetto fondamentale per la crescita personale . Ci aiuta a capire che siamo noi gli artefici del nostro destino, siamo noi a direzionare la nostra vita verso quello che è per noi importante. Cadere aiuta a rialzarsi e capire qual è la direzione giusta da intraprendere. Siamo d’accordo allora che la parola fallimento deve essere bandita dal nostro vocabolario? E se al suo posto dicessimo ” Questa non è la strada giusta per me, ho infinite altre possibilità tra cui scegliere. E’ nella mia facoltà e una mia responsabilità scegliere”? Decisamente meglio, il fallimento attiene quindi solo e soltanto al diritto civile.

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L’empatia per combattere il bullismo

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Recenti ricerche hanno messo in rilievo come l’empatia possa combattere fenomeni di bullismo. Insegnare ad essere persone inclusive, sviluppare sentimenti di accoglienza e accettazione dovrebbe diventare una materia scolastica. E’ un’educazione emotiva e sentimentale, importante da apprendere fin da piccoli.

La Danimarca, conosciuta per essere il paese più felice al mondo, secondo il World Happiness Report dell’Onu, ha inserito l’empatia come materia di studio nelle scuole fin dal 1993.

Si studia in classe dai 6 ai 16 anni. La motivazione risiede proprie nel fatto che l’empatia aiuta a costruire relazioni, prevenire il bullismo, avere successo nella vita e anche nel lavoro. Promuove la crescita di leader, imprenditori e manager. Insomma, l’empatia è un investimento sul futuro. Non dovrebbero dimenticarlo tutti i governanti chiamati a lavorare sul Pnnr, il piano nazionale di resistenza e resilienza.

#bodypositive

Insegnare ad essere persone empatiche fin da piccoli aiuta quindi a prevenire fenomeni di bullismo, che spesso possono spesso sfociare in atteggiamenti di discriminazione e di body shaming, una forma di bullismo che colpisce l’aspetto fisico delle persone. Si tratta letteralmente di giudicare le forme del corpo delle persone, criticandolo soprattutto sul web e sui social. Inutile sottolineare quanto chi è vittima di queste odiose forme di dileggio possa soffrire e vedere minata la propria autostima. E’ un fenomeno che va combattuto fin dalla giovane età e di cui è importante la sensibilizzazione. A questo proposito è nato, tra il 2010 e 2011, il movimento della cosiddetta Body Positive per merito di donne oversize, il più delle volte di colore, che postavano dei contenuti sui social media con l’hashtag #BodyPositivity. L’obiettivo è quello di promuovere un messaggio positivo dedicato a chi ha un corpo che non rientra nei canoni pre-definiti, sensibilizzando ad una consapevolezza e un’accettazione di sé, andando oltre gli stereotipi e ai canoni classici . Presto il movimento si è diffuso a livello globale e ha coinvolto le persone contrarie agli standard di bellezza imposti dai media.

Essere empatici nutre l’inclusione

E’ chiaro quindi come diffondendo una cultura improntata all’accettazione dell’altro, al sapersi mettere nei panni dell’altro, in una parola, sviluppando empatia, fin dalla giovane età, si possa aiutare a prevenire sentimenti di emarginazione. Crescere, di contro, con sentimenti di accettazione, accoglienza nei confronti degli altri può, invece, sviluppare comportamenti improntati alla compassione e inclusione. L‘intelligenza emotiva si può coltivare, lo abbiamo detto più volte. E l’empatia è una delle caratteristiche principali dell’intelligenza emotiva.

Un libro per diffondere cultura

Introdurre l’empatia come materia scolastica può essere un ottimo punto di partenza, perché la cultura ha un potere dirompente. Anche la letteratura può sensibilizzare e diffondere cultura su temi sensibili. E’ quanto abbiamo potuto comprendere e apprezzare con “Venere” e “Afrodite Soggettiva”, le recenti pubblicazioni , edite da Montabone Editore, a cura di Giulia Lazzaron e Alisia Viola, che hanno trattato in maniera creativa, artistica, sensibile e profonda il tema della body positive. A loro abbiamo chiesto come è nata l’idea della pubblicazione e di raccontarci come l’empatia possa aiutare a prevenire fenomeni di bullismo, di cui il body shaming è un’espressione. Le nostre autrici hanno riposto con entusiasmo e grande competenza.

Le interviste

“La necessità di pubblicare i due libri “Venere” e “Afrodite Soggettiva” è nata dal bisogno di parlare -attraverso il linguaggio dell’arte – ad un pubblico più ampio, di una tematica che ancora oggi in Italia è poco conosciuta, la body positivity, movimento che in altre parti del mondo invece è già virale- esordiscono Alisia e Giulia -. Le due pubblicazioni trattano di una bellezza inclusiva e universale, partendo dal mito della Venere, colei che dall’era preistorica incarna questo concetto. Da donne, figure colpite da sempre sull’aspetto fisico, abbiamo voluto – attraverso il concetto di body positive – approfondire l’autentico significato di Bellezza, facendo emergere la sua vera essenza. Entrambi i volumi pongono interrogativi sulla tematica, e alla fine della lettura, si comprende che ogni essere umano ha il pieno diritto di sentirsi una venere contemporanea”.

L’intelligenza emotiva nelle scuole

D. Alisia, tu sei anche un’insegnante: sei d’accordo anche tu dell’importanza dell’insegnamento dell’Intelligenza emotiva e dell’empatia nelle scuole? Se sì  come pensi si possano applicare questi insegnamenti?

R. Credo che lo sviluppo dell’intelligenza emotiva nelle scuole sia estremamente importante. Creare dei percorsi in merito all’intelligenza emotiva all’interno delle istituzioni scolastiche – dalla primaria alla secondaria di secondo grado-, aiuterebbe dai più piccini ai ragazzi più grandi, al raggiungimento di una maggiore consapevolezza di sé e una migliore gestione delle relazioni sociali, componenti fondamentali per ottenere piccoli e grandi traguardi personali nella vita. Sogno una scuola in cui l’educazione sentimentale sia alla base dell’insegnamento, poiché solo stando bene con se stessi e con gli altri si può dare al massimo nel raggiungimento degli obiettivi prefissati; trovo interessante proporre alle scuole di ogni ordine scolastico, percorsi sull’intelligenza emotiva, in quanto l’emotività è alla base delle giornate degli studenti.

D.I professori sono a parer tuo formati su questi temi?  Potrebbe essere interessante realizzare dei seminari ad hoc?

R. Trovo sia un aspetto carente nelle scuole e che andrebbe assolutamente rinforzato, educando in primis i docenti, i quali a loro volta avranno le adeguate competenze per proporre e creare un percorso ad hoc con i propri studenti. Credo che in questo modo si intensifichi anche il rapporto docente-studente, che spesso, ancora oggi, pare distaccato.

D.E nei confronti degli studenti si potrebbero realizzare dei momenti di dibattito? Oppure suggerisci altre modalità?

R. Si potrebbero realizzare dei momenti in cui si mettono in discussione, creare un dibattito è il punto da cui si potrebbe partire. Con i miei studenti ho spesso proposto dei laboratori maieutici, creando dei lavori di gruppo che hanno l’obiettivo di valorizzare al massimo le capacità individuali, in quanto li si mette di fronte a problemi e a punti interrogativi da risolvere, e una volta risolti sono argomenti che rimangono impressi nella loro mente, educandoli al contempo ad un approccio differente allo studio.

Il valore dell’empatia

D.E’ difficile parlare di autostima nei ragazzi soprattutto gli adolescenti che sono in evoluzione e in fase di crescita, ma l’empatia può correre in soccorso?

R. Assolutamente sì! L’empatia è un valore meraviglioso, che permette di vivere le propria vita con serenità e consapevolezza. Sfortunatamente è sempre meno presente negli studenti di oggi, ma ho notato attraverso la mia breve esperienza come docente, che applicandola nei loro confronti, loro si aprono, raccontano, aumenta la loro voglia di studiare e mettersi in gioco. L’empatia è alla base dell’apprendimento, solo una volta instaurato un rapporto basato sull’empatia, lo studente darà tutto se stesso nell’apprendimento; si crea un dialogo autentico tra insegnante e studente, un legame di cui farà sempre tesoro.

A Giulia abbiamo rivolto altre domande e lei ci ha parlato del libro realizzato insieme ad Alisia e di body shaming.

D. Uno dei temi portanti del vostro libro è il body shaming: come pensi che l’insegnamento dei temi dell’intelligenza emotiva possa aiutare a prevenire questi fenomeni?

R. Penso che l’intelligenza emotiva dovrebbe essere alla base di ogni relazione, di qualsiasi tipo e in qualsiasi ambito. Sicuramente, l’intelligenza emotiva permetterebbe una comunicazione più attenta alla realtà dell’altro, evitando battute e commenti fuori luogo, evitando discussioni e rabbia. Penso che l’intelligenza emotiva sia strettamente correlata anche all’amore incondizionato e quindi al benessere reale. 

D. Essere persone empatiche può evitare di porre in essere azioni di body shaming?

R. Solitamente episodi come body shaming e altro tipo di discriminazioni non provengono da persone empatiche, proprio perché l’empatia è la capacità di “mettersi nei panni degli altri”. È sicuramente una qualità che molte persone dicono di possedere da sempre, quindi innata. In realtà credo che appartenga a tutti, e che si possa sviluppare, anche per avere maggiore pienezza e benessere nella vita di tutti i giorni.  Quindi certamente, essere persone empatiche eviterebbe sicuramente episodi di discriminazione e body shaming

D. C’è qualche episodio che vuoi raccontare che ti ha suggerito la realizzazione del libro o che sia esplicativo del fenomeno del body shaming?

R. Personalmente, ho subito alcuni episodi di body shaming. Ho sempre avuto un peso oscillante nella vita, ci sono stati periodi in cui ero magra, altri in cui ero un po’ più robusta, in altri momenti sono stata più sportiva. L’episodio che più mi ha fatta soffrire è stato quando di fronte a una decina di persone, una persona mi ha presa in giro perché “non sembrava che andassi in palestra” (in quel periodo andavo ad allenarmi due/tre volte alla settimana). Sono tornata a casa con le lacrime agli occhi, demoralizzata. Stavo già pensando di non andarci più in palestra, mi stava passando la voglia di fare una cosa che in realtà mi piaceva tanto e mi faceva sentire in forma. Al posto di demoralizzarmi del tutto, mi sono detta che questo incubo di non sentirmi bene con me stessa doveva finire definitivamente. Ho cominciato a cercare su Instagram ragazze, modelle, influencer che avessero il mio fisico “curvy”, e sbirciare un po’ per capire come facessero ad avere tutta questa autostima! E ho trovato tutto il mondo della body positivity, Laura Brioschi che da anni combatte contro il body shaming, Carmen Mastrangelo che lotta contro le discriminazioni dei corpi grassi, e tantissime influencer con il fisico simile al mio che non hanno paura a mostrarsi, anzi, lo fanno anche per autoaffermarsi in un mondo in cui essere diversi può essere una reale difficoltà sociale. Da qui è nato tutto, sono nate le opere, le Veneri con diversi tipi di corpo, è nato il libro Venere dall’incontro con Editore Montabone, ed è nato anche un secondo libro di saggistica, Afrodite Soggettiva, di cui consiglio la lettura per chi volesse approfondire la storia della body positivity e altre nozioni a riguardo. La parte più bella di scoprire questo movimento è stata il non sentirmi più sola nelle mie lotte quotidiane, il non sentirmi più sbagliata, e informarmi a riguardo mi ha aperto gli occhi su tematiche quali per esempio, la grassofobia: la paura del corpo grasso, il terrore di ingrassare che spesso ci impedisce di vivere una vita tranquilla e serena con noi stessi. Non si promuovono stili di vita insani, anzi, si promuove uno stile di vita senza ossessioni. Per maggiori informazioni, rimando alle due pubblicazioni “Venere” e “Afrodite Soggettiva”, in cui potrete davvero scoprire un nuovo mondo, fatto di accettazione e bellezza (reale, non stereotipata). 

Vivi e lascia vivere

D. Il movimento “body positive “ può essere un esempio concreto di comportamento “empatico”?

R. Certo, la body positivity è soprattutto empatia verso il prossimo! Già che ci sono mi piacerebbe spiegare un po’ di cosa si tratta nello specifico. Il movimento body positive nasce inizialmente per contrastare il body shaming fatto sui corpi grassi e neri. Quindi le primissime attiviste sono state donne di colore, che venivano discriminate in modo sistemico per il colore della loro pelle e per il loro corpo in generale. È quindi un movimento strettamente correlato anche al razzismo e si è esteso poi ad ogni tipo di corpo, con un’attenzione particolare al mondo LGBTQ+, quindi è davvero trasversale. È rivolto a tutti, a chiunque si sia sentito almeno una volta discriminato per il proprio aspetto o per la propria personalità. Il motto della body positivity è “vivi e lascia vivere”, una frase talmente semplice, da sembrare quasi impossibile da realizzare.

Per concludere, penso che ci vorrebbe più amore nel mondo, che ci permetterebbe di accettare gli altri e amarli e rispettarli per ciò che sono, in quanto l’altra persona, e ciò che vediamo nell’altro, siamo noi stessi! “

Grazie a Giulia e Alisia per gli ottimi spunti e complimenti per il vostro libro. L’intelligenza emotiva e l’empatia sono le risorse per affrontare il ventunesimo secolo. Abbiamo davvero bisogno di persone che si mettano nei panni degli altri. E di persone che sappiano ascoltare, accettare e includere. Se iniziamo a farlo da piccoli avremo adulti consapevoli, empatici e dotati di grande intelligenza emotiva.

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Perché è importante essere persone empatiche

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Provate a rispondere a queste 3 semplici domande:

  1. Mi soffermo a comprendere i miei sentimenti e quelli degli altri?
  2. Quando prendo decisioni, soppeso i punti di vista degli altri?
  3. Presto piena attenzione quando qualcuno mi parla?

Bene, se avete risposto positivamente a queste 3 domande siete delle persone empatiche. Il che è un bella cosa, specie in questi tempi, nei quali come viene più spesso ripetuto “Nessuno si salva da solo”. Mai come in questo ultimo anno il valore della collettività è stato esaltato e ha manifestato tutta la sua importanza. Siamo tutti parte di un insieme.

L’importanza della connessione

Questa mattina ho imparato, grazie alla mia amica Sandra, una nuova parola : Ubuntu, un termine africano che significa “Io sono perché noi siamo” . E’ quello che si è sentito dire un antropologo, che ha fatto fare un gioco a dei bambini di una tribù africana: dopo aver posizionato un cesto di frutta sotto un albero, aveva invitato i ragazzini a correre verso l’albero. Chi fosse arrivato prima, si sarebbe aggiudicato il gustoso premio. Ebbene, con sua grande sorpresa, i bambini non si sono scatenati in una corsa individuale, ma si sono presi tutti per mano, hanno camminato verso l’albero. Allo stupore dell’antropologo, i bambini hanno appunto risposto. “Ubuntu”. Il gioco non aveva scatenato la competizione, bensì il senso collettivo di camminare insieme per raggiungere uniti il risultato. Una bella favola moderna, anche se fortunatamente era reale. I ragazzi hanno dimostrato di essere persone empatiche. Tutti connessi.

I 3 gradi di empatia

Possiamo essere empatici con gradi diversi di intensità. Lo sapevate?

  • Empatia cognitiva
  • empatia emozionale
  • empatia compassionevole

Non è detto che tutti abbiamo lo stesso modo di saperci mettere in connessione con gli altri. Possiamo essere empatici perché cogliamo l’importanza degli altri, oppure possiamo esserlo mettendoci con più sentimento in ascolto degli altri. Infine, il massimo grado è mettersi nei panni degli altri, comportandoci in maniera piena, consapevole, attivando gesti di aiuto e collaborazione. Insomma essere “ubuntu”.

Coltivare l’empatia

Se empatici si nasce, possiamo però anche cercare di sviluppare atteggiamenti che ci portino ad essere più connessi con gli altri. Connessi in maniera compassionevole, appunto. Essere empatici non è solo mettersi nei panni degli altri, generando senso di gioia da parte dell’oggetto dell’empatia. Fa bene anche a noi che la pratichiamo: in primis genera apertura e fiducia nei nostri confronti. Consente di sviluppare relazioni solide e profonde fra le persone. Avere buone relazioni è una delle chiavi per vivere in maniera serena e appagata. Essere circondati da sentimenti di amore, attenzione, fiducia è profondamente gratificante, siete d’accordo? Essere empatici, aiutare gli altri ci aiuta anche a superare stati emotivi negativi, perché spostiamo il focus da noi stessi a qualcun altro. Significa togliere potere all’emozione negativa. Fare bene, fa bene, lo abbiamo ripetuto più volte.

Qualche consiglio utile

Come accrescere l’empatia e la connessione? Qui sotto trovate qualche consiglio utile.

  1. Sviluppa interesse nei confronti di qualcun che non conosci
  2. Chiedi un feedback sulle tue azioni e comportamenti
  3. Diventa un osservatore di persone
  4. Identifica e supporta una causa benefica
  5. Esprimi il tuo apprezzamento e gratitudine

La gestione dei conflitti

Essere persone empatiche aiuta anche a superare e gestire i conflitti. Vedere le circostanze da una prospettiva differente, non necessariamente la nostra, ci aiuta a vedere la situazione in maniera oggettiva, ancora senza il filtro dell’emozione. Provate a pensare ad una situazione nella quale voi e un’altra persona avete avuto dei dissapori. Esaminare la situazione dal solo proprio punto di vista non consente di vedere che ci possono essere altre soluzioni. Diventate osservatori esterni e esaminate le posizioni dei 2 contendenti. Sicuramente vi farà intravedere soluzioni inaspettate. Non è detto che la posizione del vostro interlocutore non sia quella più ragionevole.

Un webinar sull’Intelligenza Emotiva

L’empatia è una delle caratteristiche dell’Intelligenza Emotiva. Su questo argomento la prossima settimana, riparte un nuovo webinar che all’empatia dedicherà una sessione specifica.

Essere persone empatiche ci preserva da comportamenti egoistici, ci mette in connessione con gli altri e ci fa sentire persone persone di valore. Accresce e aumenta la nostra autostima. E ci fa sentire tutti Ubuntu…Che è un bel sentire…

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Il ciclo emotivo del cambiamento

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Negli auguri che ci stiamo scambiando in questi giorni ricorrono parole chiave: rinascita, rinnovamento. C’è un forte desiderio da parte di tutti di cambiamento. Della situazione che ormai stiamo vivendo da oltre un anno e che sembra sempre immobile, con poca luce in fondo al tunnel. Cambiamento della nostra routine, che sta diventando sempre più stretta tra smartworking, dad, relazioni sociali azzerate. In attesa che qualcosa cambi, cambiamenti che purtroppo non possono essere originati solo da noi ( a parte i nostri comportamenti di osservanza delle regole di distanziamento, non assembramento ecc ecc) proviamo a ragionare su quello che possiamo modificare noi stessi.

Il cambiamento nasce da noi stessi

Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo partire da noi stessi. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Tante, tantissime, ma è una verità inconfutabile. L‘unico controllo che possiamo esercitare è quello su noi stessi, lo abbiamo già scritto, perché come dice Tom Peters ” il cambiamento è una porta che si apre solo dall’interno”, metafora perfetta. Quindi analizziamo quello che sta stretto nella nostra vita, cosa non siamo più in grado di sopportare e mettiamoci all’opera. Ma prima ascoltiamo qualche consiglio utile per imparare a gestire al meglio il nostro cambiamento, prendendo in considerazione quelli che sono gli stadi emotivi che tutti siamo chiamati ad affrontare. Una volta compreso quello che ci aspetta, saremo in grado di affrontare il cambiamento con spirito costruttivo e positivo.

Le 5 fasi

I consigli ci vengono da Don Kelley e Daryl Conner, due ricercatori americani che notarono che molti degli individui che avevano affrontato un cambiamento volontario, si erano ritrovati ad attraversare 5 fasi, e in ognuna di queste fasi avevano vissuto un preciso stato emotivo. Svilupparono così l’Emotional Cycle of Change (ciclo emotivo del cambiamento) e lo pubblicarono nell’ “Annual Handbook for Group Facilitators” del 1979. Il modello delinea le cinque fasi emotive che la maggior parte delle persone attraversa durante il cambiamento volontario.

La fase 1: ottimismo ingiustificato

Chi non ha mai provato un grande stato di eccitazione quando è in procinto di affrontare un nuovo progetto? Siamo pieni di entusiasmo , l’adrenalina è a mille e e la nostra motivazione è ai massimi livelli. Siamo pervasi da uno stato di invincibilità – poco razionale e del tutto ingiustificata. In questa sindrome da superman e superwoman occorre seguire due consigli pratici. Il primo è quello di stilare e mettere per iscritto ( il potere della visualizzazione ci può venire in soccorso) quelli che sono i benefici che ci aspettiamo da questo cambiamento. Lavoriamo con la nostra energia cognitiva e pensiamo in maniera razionale e non emotiva. Il secondo consiglio è quello di mettere un po’ il freno a questo nostro impeto di voler raggiungere subito il risultato. Pensiamo a quando dobbiamo fare una corsa : mantenere sin dall’inizio la giusta andatura ci permette di non disperdere da subito tutta l’energia, ma conservarla e dosarla in maniera equilibrata. Insomma, abbondiamo la modalità “voglio tutto e subito”, non paga. Dosiamo le nostre forze e ricordiamoci che chi va piano…va sano e va lontano.

La fase 2: pessimismo giustificato

E’ il momento dello scoramento. Siamo partiti pieni di belle speranze, ma l’entusiasmo, quella forza propulsiva che ci aveva sostenuto nella prima fase, inizia a calare. Le difficoltà che troviamo lungo il nostro cammino aumentano la nostra frustrazione e l’assenza di risultati tangibili intacca la nostra motivazione. E ‘ qui che affiorano le domande” Perché ho iniziato questo percorso?” ” Che senso ha continuare?” e la nostra vocina interiore ci dice anche “Ma sì, anche se rimando a domani, cambia qualcosa?” ” Che senso ha continuare, tanto non ce la farò”. Ben arrivati nella Valle della disperazione. E’ questo lo scoglio sul quale tutti i nostri buoni propositi si infrangono…E’ questo il momento in cui il 90% dei tentativi di cambiamento si annullano. L’entusiasmo della prima fase è svanito. E’ questo il momento in cui dobbiamo far ricorso a tutta la nostra forza di volontà per poter proseguire nel nostro cammino.

Fase 3 : realismo incoraggiante

Coloro che riescono a superare la fase del pessimismo giustificato, iniziano a vedere il cambiamento in maniera più oggettiva. Diventano più consapevoli degli ostacoli che dovranno affrontare ed iniziano ad elaborare le strategie che permetteranno loro di superarli con successo. Una modalità può essere quella di darsi una data di scadenza e valutare i progressi raggiunti. Rafforza la nostra motivazione e ne beneficia la nostra autostima. Ci focalizziamo su cosa ha funzionato e possiamo costruire una strategia per poter proseguire, facendo tesoro dei nostri risultati, seppur parziali. E’ la fase più importante di tutto il percorso, perché ci dà l’energia per poter proseguire lungo la nostra via del cambiamento.

Fase 4: ottimismo giustificato

Rimaniamo focalizzati sulle singole azioni per un periodo sufficientemente lungo – solitamente 90 giorni- ed entriamo nella quarta fase del ciclo emotivo del cambiamento. Non siamo ancora arrivati alla meta, ma siamo vicini. E’ in questa fase che possiamo consolidare la nostra posizione mettendo in atto un’azione importante: aiutare gli altri. Noi siamo riusciti a superare tutte le fasi complesse, abbiamo scavallato la valle della disperazione e conosciamo bene gli stati emotivi e gli ostacoli che abbiamo superato. Condividerli con gli altri è un modo per essere noi stessi testimoni del fatto che ottenere un cambiamento è possibile. Diventiamo una guida, un mentore. E sappiamo quanto fa bene fare del bene.

Fase 5 : conclusione

E’ fatta, siamo arrivati al termine del nostro cammino verso il cambiamento e possiamo celebrarci. Siamo stati davvero bravi, non era scontato, per cui non sottovalutiamo il nostro successo. Celebriamoci e premiamoci. Mandiamo messaggi positivi al nostro cervello perché possiamo diventare consapevoli dei nostri successi. L’autostima ne trarrà grandi vantaggi. Dobbiamo essere fieri di noi. Come vi sentite? Avete cambiato la vostra opinione si di voi? E’ cambiamento anche questo… Siamo pronti per una nuova rinascita. A proposito, buona Pasqua di luce e rinascita a tutti!

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L’intelligenza emotiva: come svilupparla

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Sono sempre stata una persona emotiva. Me lo ripetevano i professori a scuola, me lo disse anche il relatore alla mia tesi. Quello che mi ha sempre salvato è stata una forte dose di positività , che mi ha permesso comunque di gettarmi a capofitto nelle nuove avventure, nell’intraprendere nuove strade. Poi crescendo, la maturità mi ha permesso di sapere controllare meglio le emozioni e con la mia attività di saperle non solo riconoscere in me stessa, ma anche negli altri. Ho appreso, insomma, l’alto potenziale dell‘Intelligenza Emotiva, che è diventata con l’andare del tempo oggetto di numerosi studi e approfondimenti da parte mia.

L’intelligenza emotiva ci aiuta a evolverci

Le emozioni hanno avuto un ruolo evolutivo, aiutandoci a sopravvivere alle calamità e agli attacchi nemici milioni di anni fa. Pensate se i nostri antenati non avessero provato emozioni come paura, coraggio la specie umana non si sarebbe sopravvissuta. Se non ci fosse stato il sentimento dell’amore non saremmo qui. Oggi le emozioni ci aiutano a capire meglio noi stessi e gli altri, realizzare i nostri sogni, raggiungere i nostri obiettivi, attraverso la motivazione, una delle 5 caratteristiche dell’intelligenza emotiva.

Tutto è emozione

Ogni azione che noi compiamo genera un’emozione: gioia, sorpresa, tristezza, rabbia, paura, accettazione, disgusto, secondo la classificazione che Robert Plutchik ha fatto delle emozioni primarie. Quindi non è fondamentale riconoscerle e saperle gestire? Affrontare le proprie emozioni significa diventarne consapevoli e imparare a osservarle. Pensate cosa significa in molti casi non saperle affrontare e farsi dominare da esse. Una vita in preda alle emozioni, ci può far vivere in maniera ansiogena, non ci fa vivere con serenità ed equilibrio.

Riconoscere le altrui emozioni

Per non parlare di quanto siano sane e appaganti le nostre relazioni quando sappiamo entrare in sintonia con gli altri, capirne i bisogni. Tutto si semplifica. L’empatia, altra caratteristica precipua dell’intelligenza emotiva, ci permette di instaurare rapporti improntati alla fiducia, all’armonia. Sarà che per me, vivere in un ambiente armonioso, dove c’è massima collaborazione, condivisione è fondamentale, ma saper “mettersi nei panni dell’altro “sviluppa immediatamente sentimenti di rispetto, fiducia. In tutti gli ambiti: personali, famigliari, professionali.

Un clima sereno

Siete consapevoli dei vantaggi di lavorare in un ambiente in cui regna la collaborazione, il supporto reciproco? Soprattutto in questi giorni difficili, dove la maggior parte di noi è in smart working, poter contare su colleghi disponibili, collaborativi, comprensivi, empatici cambia davvero la vita. Quando abbiamo il potere di capire cosa stiamo provando e cosa stanno provando gli altri abbiamo anche il potere di capire come comportarci. Ricerche dicono che il successo nella vita è determinato per l’80% dall’intelligenza emotiva. Non è difficile crederlo, dal momento che, quando le emozioni riescono a condizionarci positivamente, nella maggior parte dei casi la riuscita delle nostre azioni è sempre eccellente.

Sviluppare l’intelligenza emotiva

A differenza dell’intelligenza misurabile con il Quoziente Intellettivo, l’intelligenza emotiva si può sviluppare e coltivare. Le persone emotivamente intelligenti sanno conciliare ciò che la mente, la nostra voce interiore, dice con le nostre emozioni e sentimenti. Sono sicure di sé perché in grado di conoscersi e controllarsi, sanno gestire lo stress, vanno d’accordo con gli altri e nella maggior parte dei casi sono ottimiste e aperte al cambiamento. L’intelligenza emotiva è una specie di super potere, un alleato prezioso per raggiungere i propri risultati.

Il percorso per allenarla

Per poter allenare e sviluppare l’intelligenza emotiva ho predisposto un percorso.

Sono 2 le possibilità: :

  1. Un percorso one to one dove si verificherà il quoziente emotivo per poi intraprendere un cammino che aiuti a lavorare sulle eventuali aree di miglioramento.
  2. Un percorso di gruppo per lavorare sulle aree che compongono l’intelligenza emotiva: la consapevolezza, la padronanza di sé, la motivazione, l’empatia, le capacità relazionali.

Il corso di gruppo inizierà dopo Pasqua ad Aprile e sarà strutturato in 4 incontri di un’ora e mezzo l’uno con cadenza quindicinale.

Ci sarà una parte teorica, ma anche tanti esercizi pratici di Coaching per poter sviluppare consapevolezza e le abilità connesse all’intelligenza emotiva : affidabilità, adattabilità, flessibilità, creatività e autostima.

Un viaggio all’interno di se stessi per poter entrare meglio in connessione con gli altri

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Come abbandonare il controllo

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“Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non esercitiamo nessun controllo nell’istante in cui la biologia esprime la sua rivolta” : a dirlo è il filosofo Umberto Galimberti. La pandemia ci ha resi vulnerabili da tutti i punti di vista. Non solo a livello fisiologico, ma anche nelle nostre modalità di espressione, nelle nostre abitudini e nei nostri processi mentali. Abbiamo , però, anche capito che non possiamo esercitare alcun controllo su niente e nessuno. Forse. Anzi speriamo. Perché il Covid 19 ci ha messi di fronte a tutta la nostra fragilità di essere umani, ma ci ha anche insegnato tanto. Come non avere il potere di controllo sulla nostra vita, sui nostri progetti. E’ una frustrazione immensa. Eppure, se riusciamo a cogliere degli insegnamenti anche da un virus così micidiale, significa che siamo capaci di crescere e cogliere gli aspetti positivi da qualsiasi circostanza. Anche la più odiosa.

Perchè ci piace il controllo

Essere sempre al top, non sbagliare mai. E’ questo che ci è stato insegnato. Essere sempre bravi, non commettere mai errori. Ma è davvero terribile sbagliare? Il mito del perfezionismo ci è stato insegnata in giovane età. Soprattutto se abbiamo avuto dei genitori normativi. Regole e sempre regole. “Devi fare tutti i compiti, altrimenti non puoi giocare” ” Mangia tutto altrimenti non puoi vedere la televisione”. Quanti di noi si sono sentiti ripetere queste frasi da bambini? Molti sono cresciuti identificandosi perfettamente nella teoria meccanicistica del causa-effetto. Ad ogni azione consegue una reazione. Soprattutto una punizione se il compito non viene svolto bene. Ma bene per chi? Per chi esercita il controllo, ovviamente. Il controllo viene comunque esercitato anche dal genitore affettivo, per dirla con Eric Berne, padre dell’analisi transazionale. Al desiderio di soffocare e conseguente controllare non si sottrae anche il genitore apparentemente più permissivo. Perché il più delle volte si occupa degli altri in maniera intrusiva, anche senza che ve ne è bisogno e soprattutto senza che venga richiesto. E’ un atteggiamento che soffoca ” Io so quello di cui tu hai bisogno” è il pensiero, un chiaro modo per entrare nella vita degli altri. Controllandoli.

La paura degli imprevisti

La mania di esercitare il controllo va spesso di pari passo con il timore dell’imprevisto. Controllo così mi preparo per affrontare l’ignoto. Si soppesano tutti i dettagli, non si lascia – o si cerca di farlo- nulla al caso. E’ spesso un modo per tenere a freno l ‘ansia. Mi preparo già adesso per affrontare l’imprevisto. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Non abbiamo imparato la lezione? Chi avrebbe mai pensato che un giorno non saremmo potuti uscire di casa, avremmo lavorato in smart working, non avremmo potuto abbracciare – n’è vedere- i nostri cari? Neanche il più attento futurologo. Forse solo uno scrittore, come è stato con David Quammen con il suo romanzo “Spillover“. Ma si sa che gli artisti hanno dalla loro la fantasia, che fa loro preconizzare scenari che sembrano irrealizzabili.

L’insicurezza e la mancanza di autostima

Talvolta la causa del bisogno di esercitare un forte controllo non solo su stessi, ma anche sugli altri può essere causata da una profonda insicurezza nelle proprie capacità e una bassa dose di autostima. Ancora una volta il timore di sbagliare getta nel più totale sconforto. Ma proviamo a porci questa domanda” Cosa succede se sbagliamo?” Ovviamente non stiamo parlando dei super scienziati che hanno organizzato e supervisionato l’ammartaggio – come ho imparato che si dice- di Perseverance. Lì il controllo è sacrosanto e guai se non vi fosse. Stiamo, invece, parlando delle incombenze di tutti i giorni. Semplici attività che tutti noi compiamo quotidianamente. Cosa significa in questo caso commettere un errore? Nulla. Aggiungiamo anche che bisogna distinguere l’errante dall’errore, come qualcuno ben più autorevole di noi ha detto. Il fatto di commettere un errore, uno sbaglio non si ripercuote sull’autorevolezza della persona. Siamo umani. L’errore è dentro l’angolo. Perdoniamoci, ma soprattutto lasciamo andare “Tutto quello che non riesci a controllare, ti sta insegnando a lasciar andare” è il pensiero di Jason Kiddart. Niente di più vero.

Controllare le proprie emozioni

Sicuramente è di fondamentale importanza capire che controllare gli altri non è il modo migliore per stare meglio: cercare di dominare chi abbiamo intorno non è la soluzione. Per questo sarebbe consigliabile riuscire ad imparare a controllare noi stessi, d’altronde il problema è dentro di noi.

Inoltre, è importante capire che non possiamo controllare il nostro futuro: possiamo e dobbiamo concentrarci solo sul nostro presente, tenendo conto del fatto che non tutto può essere tenuto sotto controllo e forse questa è una delle poche certezze che abbiamo. Per questo è importante che lavoriamo su noi stessi e sul nostro mondo emotivo. E’ necessario far ricorso alla nostra intelligenza emotiva che ci insegna a conoscere, comprendere e gestire le nostre emozioni.

Il dialogo tra il chi controlla e chi no

Come possiamo uscire dalla gabbia del controllo in cui noi stessi ci siamo rinchiusi? Provate a fare questo esercizio: far dialogare tra loro il vostro Io controllante e il vostro Io che sa lasciar andare. Mettete per scritto un ipotetico dialogo. Aprite un documento word o se preferito prendete carta e penna. Impostate un timer per 5 minuti e iniziate a scrivere. Fate fare un’affermazione all’io censore a cui l’io permissivo può ribattere. E’ importante che il dialogo sia scritto perché vi aiuta a visualizzare il vostro modo di pensare e ragionare. Perché il vostro Io che esercita il controllo sia più distante da voi, dategli un nome diverso dal vostro. Vedrete che sarà un modo per allontanarlo da voi e toglierli potere. L’ultima affermazione deve essere del vostro io che sa come non esercitare il controllo. Date un nome al file e salvatelo. Riprendetelo in mano tutte le volte che sentite dentro di voi il desiderio irrefrenabile di controllare gli altri e le diverse situazioni. Cosa direbbe il vostro io, che sa che non si può esercitare il controllo se non : sulle vostre parole, sui vostri pensieri, sulle vostre emozioni, sulle vostre azioni, ecc ? Chiedeteglielo, è lui il saggio. Tutte le risposte sono già dentro di voi.

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Come gestire le emozioni

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Saper riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni è indice di intelligenza emotiva. Mettere un filtro alle proprie emozioni consente di non essere dominati da esse. Lo abbiamo sperimentato tutti: avere un atteggiamento calmo, equilibrato ci aiuta ad affrontare la quotidianità, le difficoltà o anche le situazioni inaspettate in maniera serena, senza farsi prendere dal panico. Che non significa essere freddi e distaccati. Al contrario. L’empatia è una delle caratteristiche principali dell’intelligenza emotiva, sapersi mettere nei panni degli altri, con un atteggiamento di profonda comprensione e compassione. L’etimologia della parola emozione lo spiega bene: viene dal latino e moveo : muovo fuori. Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazione psicologiche a stimoli esterni e interni, naturali e appresi.

Le emozioni primarie

Lo psicologo americano Robert Plutchik ha creato un modello, la ruota delle emozioni, in cui esplicita 8 emozioni primarie: gioia, fiducia, paura, sorpresa, tristezza, aspettativa, rabbia e disgusto. Saperle individuare, una volta che si palesano, ci aiuta a scegliere le emozioni con le quali vogliamo vivere. Esistono 3 diverse tipologie di persone emotive:

  1. Gli “inghiottiti”: coloro che sono sovrastati dalle emozioni, che non le sanno controllare, e per queste ne risultano risucchiati e fagocitati.
  2. Gli “accettanti” : non ne sono investiti , ma le accettano così come sono, senza far nulla per poterne comprendere le cause. Sono per lo più i depressi, coloro che vivono in maniera qusi rassegnata il loro stato emotivo.
  3. I “consapevoli”: sentono quando l’emozione sta per palesarsi e pertanto sanno come gestirla.

La consapevolezza per vivere con equilibrio

Il primo passo per poter vivere in maniera equilibrata è dunque essere consapevoli. Questo ci permette di poter avere una regolazione emotiva: saper controllare le emozioni significa saper attivare quelle positive, la gioia e la fiducia, secondo la classificazione di Plutchick. Ma significa anche, quando siamo in presenza di emozioni negative, di capirne il grado e, conseguentemente, disinnescarle. Un esercizio di Coaching che suggerisco è quello di annotare tutti i giorni, per una settimana, gli stati emotivi che proviamo più frequentemente nell’arco della giornata. Su un foglio a parte invece annotiamo, da un lato, l’esperienza e dall’altra la reazione che ne scaturisce. Questo ci consente di rendere conscio il nostro stato d’animo.

Le emozioni sono generate dai pensieri

Spesso le emozioni nascono dai pensieri. Da credenze che abbiamo rispetto a noi stessi. E’ importante capire quello che noi pensiamo di noi. Ritenerci non sufficientemente all’altezza, innesca sentimenti di frustrazione, che possono sfociare in depressione e mancanza di autostima. Anche il linguaggio che usiamo per descriverci incide sulle emozioni. Se cambiamo i nostri convincimenti negativi, cambieranno anche le emozioni collegate. Cambiare in positivo i pensieri che proviamo influenza le emozioni che si voglio provare. Non ci credete? Provate a fare questo esercizio: scrivere i convincimenti negativi e virarli al positivo. Un esempio : ” Non sono sufficientemente all’altezza di gestire questa situazione” trasformato in ” Ho le capacità di affrontare questa situazione utilizzando le risorse che ho a disposizione”. Vedete come è semplice? E’ la nostra mente, con i nostri convincimenti autolimitanti che ci fa spesso sentire inadeguati e conseguentemente tristi, generando l’emozione della tristezza. Un atteggiamento benevolo verso noi stessi, ci porta a vedere le situazioni sotto una luce diversa nuova. Come dice Amanda Gorman, la giovane poetessa statunitense chiamata a recitare un suo componimento, durante a cerimonia di inaugurazione di insediamento di Joe Biden e Kamala Harris ” C’è sempre una luce, solo se siamo abbastanza coraggiosi da vederla”.

Accrescere la consapevolezza

Per accrescere la nostra consapevolezza e riconoscere le nostre emozioni, può essere utile anche rispondere a queste domade:

  1. Come ti relazioni con gli altri?
  2. Quando ti sei svegliata questa mattina come ti sentivi?
  3. Quando sei andata a dormire ieri sera, come ti sentivi?
  4. Come reagisci quando le persone intorno a te sono arrabbiate, tristi o frustrate?
  5. Come reagisci quando le persone sono felici?
  6. Quali sono i comportamenti positivi che esprimi di più?
  7. Quali comportamenti negativi esprimi di più?
  8. Come ti comporti con i tuoi famigliari o amici?
  9. Che comportamenti hai quando sei felice e rilassata?
  10. Che comportamenti hai quando sei arrabbiata o frustrata?

Essere consapevoli delle proprie emozioni è il primo passo per poterle cambiare. Ci vuole coraggio, direbbe Amanda. E il coraggio non è un’emozione. E’ una risorsa.

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Autostima al femminile

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La settimana che sta per concludersi ha avuto al centro di molti dibattiti l’universo femminile. Il 25 Novembre è stata la Giornata Mondiale contro la Violenza delle Donne, molti dibattiti e incontri quindi sono ruotati intorno a questo triste tema. Ci sono state poi tante polemiche su trasmissioni Tv, davvero discutibili, in cui si è di nuovo trattato il tema con stereotipi e scelte di dubbio gusto. Tra i dibattiti interessanti sul mondo femminile invece c’è da segnalare quello dedicato alla “Ricostruzione post-Covid” organizzato dall’associazione 100Donne contro gli stereotipi, da Creis, associazione che opera per fini di solidarietà sociale e infine da Giulia associazione di Giornaliste.

Donne equilibriste

Ma c’è ancora bisogna di parlare di donne, di universo femminile? Evidentemente sì. All’alba del 2020 purtroppo il tema diventa di scottante attualità. La pandemia ha infatti riportato alla ribalta il tema delle diseguaglianze e riportato l’attenzione sull’odioso argomento del gender gap. E questo , se non si interviene con riforme strutturali, si ripercuoterà pesantemente nel post crisi. Nel dopo pandemia, si è detto nell’intervento di Serenella Molendini ” Il lavoro e le donne tra diseguaglianza strutturale e pandemia” si accentueranno le differenze di genere. I costi della crisi sono a carico dei precari, dei giovani e delle donne. Per non parlare del fatto che le donne spesso sono state e lo sono tuttora, durante lo smart working, delle vere e proprie equilibriste nel conciliare attività professionale e impegni famigliari. L’Italia, si sa, è negli ultimi posti nelle classifiche delle diseguaglianze tra i generi. Su 153 Paesi, il nostro paese si colloca al 76° posto.

Gender Quality Index

Nel Gender Quality Index del 2020, che misura la situazione delle diseguaglianze di genere nell’Unione Europea, l’Italia si colloca al 14° posto con 63,5 punti su 100. Il suo punteggio è di 4,4 punti più basso della media europea. Le diseguaglianze di genere sono più pronunciate nell’ambito dell’occupazione dei posti di potere (48,8), nella formazione (61,)9) e nell’ambito del lavoro ( 63,3). E il divario, purtroppo, si amplia ancora di più tra le regioni del nostro paese, dove ai primi posti tra le virtuose, troviamo la provincia di Bolzano, le altre regioni del Nord Est e negli ultimi posti la Sicilia.

Le soft skills femminili

Questa la fotografia della realtà femminile. Ma ci sono strumenti per poter superare questa situazione che appare così avvilente? Per molti aspetti è una questione culturale. Occorre però un cambio di paradigma. Come si dice, da ogni crisi nasce un’opportunità, bisogna quindi prendere consapevolezza della situazione e rafforzare, da un lato, le competenze, dall’altro lavorare sull’autostima. Dalla presa di consapevolezza delle proprie capacità, risorse e del proprio valore. Dei punti di forza femminili. L’abbiamo già detto: leadership virtuose nella gestione della pandemia sono state quelle incarnate da leader donne. Quelle che hanno messo al centro la cura. Quella della cura è sicuramente una qualità molto femminile. Per cura intendiamo attenzione nei confronti degli altri. Ma anche dell’ambiente, del mondo che ci circonda. Così come le doti di resilienza, di empatia, di problem solving. Alla lista vanno aggiunte la capacità di gestione dello stress, la predisposizione all’organizzazione, la capacità di essere multitasking.

Lavorare sull’autostima

Partiamo quindi da una presa di coscienza del nostro valore, ai nostri successi, dai traguardi che abbiamo raggiunto. Prendiamo carta e penna e facciamo una lista: una lista di tutte le nostre qualità, delle nostre risorse interne. Prendiamo coscienza di quanto valiamo e di quanto siamo riuscite ad ottenere grazie alla nostra tenacia, perseveranza. Non lasciamoci condizionare dall’esterno o da chi tenta di giudicarci per sminuirci. Ascoltiamo la nostra voce interiore che sa dirci quanto è grande il nostro valore. Rispettiamoci, vogliamoci bene. E’ il primo passo fondamentale perché anche gli altri ci possano amare e rispettare. Perchè come dice Michelle Obama “Non c’è limite a ciò che noi donne possiamo realizzare.”

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