Ego non serenum sum

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Un fantasma si aggira dentro di noi: è l’Ego. E’ un nemico subdolo che con le sue trappole e illusioni, ci obnubila, limita la nostra capacità di evolvere. E’ una gabbia nella quale noi stessi ci chiudiamo e ci preclude la possibilità di vivere in maniera serena con noi stessi e con gli altri. Attraverso la comprensione delle dinamiche dell’ego e il superamento delle sue trappole, possiamo sbloccare nuove prospettive e opportunità di crescita.

Ego quindi non sono sereno

Tra gli Autori moderni che più trattano il tema dell’Ego c’è indubbiamente Eckart Tolle, che nel suo libro “Il Potere di Adesso” , tratta il tema del “qui e ora”, ” hic et nunc” , del vivere il presente senza più restare ancorati al passato o proiettati verso le preoccupazioni sul futuro. Secondo l’autore, per intraprendere il viaggio di consapevolezza abbiamo bisogno di lasciare da parte la nostra mente ed il falso sé che questa ha creato: l’ego. Il nostro nemico – l’ego appunto- è il controllore che vive dentro di noi, ci dice che cosa è giusto e che cosa non lo è, cosa dobbiamo accettare e cosa rifiutare. Per farlo si crea un’immagine di cosa siamo e di cosa sia giusto per noi e tutto è orientato a far sì che la nostra vita sia aderente a questa immagine che ci siamo creati. Non siamo autentici, ma siamo l’immagine della nostra mente. Con la conseguenza di non essere mai soddisfatti, in perenne ricerca di un’immagine, di un ideale che non corrisponde al nostro essere più profondo.

Il trionfo dell’Io, non del noi

L’ego ci separa dagli altri, pone una barriera fra noi e il resto. Ci mette al centro del mondo, del nostro universo senza preoccuparci di chi ci sta intorno. Io sono io, tutto il resto…non conta. L’ego è dunque separazione, non unione, erige delle barriere, dei muri. L’ego è più interessato al fare, non all’essere. E’ un approccio assolutamente non inclusivo. Ma dà felicità continuare a soddisfare il bisogno del nostro ego di essere costantemente alimentato, nutrito? E’ come l’orco delle fiabe sempre famelico, che più ha e più vorrebbe. Una vera e propria schiavitù. Il contrario di una mente libera, aperta verso il mondo e le nuove esperienze.

L’emozione della rabbia

L’ego esasperato porta ad un’emozione molto forte e ben definita: quella della rabbia, perché il più delle volte riteniamo che un nostro valore o un nostro principio sia disatteso. E’ normale provare un senso di arroccamento se ci sono io da un lato e dall’altro il resto del mondo. Il guardarsi l’ombelico, focalizzarsi solo sui propri bisogni senza curarsi di quelli degli altri non può che portarci ad allontanare gli altri da noi. E questo prova delusione, rancore, rabbia, appunto. Un cerchio vizioso…

Il superamento dell’ego

Cercare di superare l’ego ci porta ad essere più liberi, più in armonia con noi stessi e gli altri, più autentici. Ovviamente il punto di partenza è la consapevolezza. Prendere coscienza del fatto che viviamo in uno stato di schiavitù in cui il carceriere è il nostro Ego è fondamentale. Coltivare l’intelligenza emotiva riconoscendo le nostre emozioni – la rabbia- è un altro aspetto fondamentale. Riconoscere quando sta per palesarsi per poi correre subito ai ripari sapendola gestire. Coltivare l’empatia mettendosi nei panni degli altri e cercare di capire i loro bisogni e le loro prospettive. Praticare, anche per pochi minuti al giorno, la meditazione ci consente di avvicinarci al nostro io più profondo, rilascia le tensioni che portano a proteggere il nostro ego. E’ un cammino verso una maggiore conoscenza di chi siamo e di cosa desideriamo realmente. E non dimentichiamo di praticare la gratitudine, focalizzandoci su ciò che abbiamo, sulle presenze e non assenze. Piccoli ma fondamentali passi, verso un grande risultato…il superamento dell’ego. E sintonizzarsi con Neil Amstrong…è un attimo!

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Uscire o non uscire dalla zona di comfort?

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Uscire o non uscire dalla propria zona di comfort? Questo il problema… La zona di comfort è diventata una delle espressioni usate e abusate. Alla stregua di resilienza, consapevolezza, ecc ecc. Ma vale la pena comunque interrogarsi sul significato che l’espressione esprime e sciogliere il dubbio amletico.

Uno spazio di controllo

Se cerchiamo una definizione, il concetto che più ci sembra appropriato è ” Il concetto di zona di comfort si riferisce a uno stato psicologico in cui ci sentiamo al sicuro e non proviamo ansia o paura. È uno “spazio” che conosciamo come il palmo della mano e in cui controlliamo quasi tutto”.

Un’enunciazione di questo tipo esprime tanti concetti:

  • sicurezza
  • assenza di ansia ( apparente)
  • nessuna paura.

La zona di comfort è dunque una sorta di bozzolo che ci avvolge, ci dà l’illusione provare un senso di protezione, di non osare e quindi di non sbagliare, ci infonde sicurezza senza che ci si possa trovare di fronte a situazione di stress o di ansia, appunto. Ma siamo sicuri che sia così? Come la mettiamo con la crescita personale, con l’ebrezza di provare a vivere emozioni nuove, sensazioni diverse? Il punto è proprio questo : ci si cristallizza in una pseudo-condizione di protezione, di routine. Rimaniamo ancorati alle nostre credenze, alle nostre sicurezze, ma poi? Siamo proprio sicuri che sia la vita che veramente vogliamo ? Non ci siamo per caso chiusi in una trappola e buttato via la chiave? Eppure fuori c’è un mondo meraviglioso che ci aspetta.

Sfidare i propri limiti

La prima domanda da porsi per poter uscire dalla nostra comfort zone è che cosa ci impedisce di farlo? Paura di non farcela? Timore di non essere all’altezza? Convinzione di sbagliare? Sono molteplici le motivazioni che ci impediscono di uscire dalla nostra zona di comfort. La base di tutto però è una non capacità di credere in se stessi. Un’assenza di autostima che ci fa pensare di non avere le risorse e le capacità di poter affrontare situazioni non conosciute. La paura dell’ignoto e di non saper come poterlo affrontare. Il punto di partenza è quindi quello di rafforzare il proprio radicamento. Essere radicati, grounding ci aiuta ad affrontare le diverse avversità e situazioni che si possono palesare.

Il radicamento

Nel bel libro appena pubblicato “Yoga Metaforico- Forme corporee e immagini mentali tra hatha e jnana yoga” scritto dalla mia amica e insegnante di yoga Mara Valenti per Anima Edizioni, la metafora dell’asana del guerriero – Virabhadrasana 2- ci insegna che essere ben radicati, ci fa sentire forti. Il guerriero ha anche un petto morbido e questo garantisce una mente calma e lucida. Ma come poter ottenere il radicamento? Lavorando sui propri punti di forza, attingendo alle risorse personali che mettono in luce le nostre capacità e competenze, facendo una disamina di tutte le situazioni in cui siamo stati in grado di raggiungere dei risultati positivi. Un elenco dei nostri successi, partendo dagli esempi più semplici, anche quelli appartenenti al passato. Circostanze alle quali non abbiamo più pensato: piccoli traguardi raggiunti quando eravamo più giovani, a scuola, in famiglia. Poi i primi successi avvenuti nella crescita : in ambito scolastico, professionale. Fermarsi ogni tanto ad autocelebrarsi, farsi pat pat sulla spalla ci aiuta a trovare più fiducia in noi stessi. “Ti ricordi di quella volta in cui…?” La domanda da porsi può essere proprio questa. Impariamo quindi a celebrare i nostri successi, anche dai più piccoli…Si può iniziare dai piccoli passi…Del resto “un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo…” secondo il pensiero di Lao Tzu per rimanere in ambito di guerrieri.

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Scriviamo i nostri obiettivi

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Si sa che l’anno nuovo ci trova sempre animati da buoni propositi. E’ come se si aprisse un nuovo capitolo della nostra vita. Siamo pieni di speranze, di buone intenzioni, con tanti obiettivi da raggiungere. Poi i giorni passano e la motivazione che ci aveva riempito il cuore, l’anima e la mente si affievolisce sempre di più. E se invece volessimo stravolgere questi cattivi pronostici e affrontare il futuro animati da quella giusta energia che ci permetta di dare davvero una svolta alla nostra vita? Un rimedio c’è: scrivere i propri obiettivi. Sembra banale, ma è davvero un’ottima strategia.

Rifletti sui tuoi obiettivi e scrivili

Ragionare sui traguardi che vogliamo raggiungere nel corso dell’anno e metterli nero su bianco è un’arma davvero molto potente. E’ come assumersi una responsabilità nei propri confronti, un modo per prendere un impegno serio da portare a compimento. E noi non vogliamo deludere…noi stessi, vero? Scrivere gli obiettivi è un modo per poter visualizzare meglio ciò che vogliamo ottenere nella nostra vita

Sai che indirizzo dare alla tua vita?

E’ la domanda che dobbiamo porci per dare una direzione alla nostra esistenza, mettere ordine, fare pulizia eliminando ciò che ci ostacola e ci fa disperdere inutilmente energia.

Per darsi un metodo, il consiglio è quello di creare una sequenza temporale progressiva per ciò che si desidera realizzare entro il giorno, la settimana, il mese, l’anno e il decennio successivi per avere un quadro più chiaro del proprio futuro. Una sorta di agenda in cui annotare i propri impegni.

Dove ti piacerebbe essere tra un anno, cinque anni o dieci anni? Se non conosci ancora la risposta a queste domande (o almeno non ne hai un’idea approssimativa), può essere difficile decidere come andare avanti al meglio nella propria esistenza.

Spesso attraversiamo la nostra vita senza un’idea chiara di dove vogliamo arrivare o come farlo. In questi casi, rimaniamo impantanati in abitudini ricorrenti, routine che chi imprigionano negli stessi comportamenti. Non ci fanno progredire. Rimaniamo sempre allo stesso punto per ritrovarci alla fine dell’anno, nel momento dei bilanci, con il gusto amaro di non aver cambiato nulla nella nostra vita, con la conseguente delusione, ancora una volta, nei confronti di noi stessi.

Scrivere gli obiettivi aumenta la consapevolezza

Avere chiari i nostri obiettivi, quale deve essere il nostro percorso e la destinazione ci fa diventare persone consapevoli. Spesso le persone con maggior successo e soddisfatte della propria vita sono quelle che hanno la visione più chiara del futuro. E’ come se fossero alla guida della propria vita, sperimentando anche strade ignote, ma con la consapevolezza che la destinazione è certa. E’ la motivazione e l’ispirazione che ci aiuta a compiere il giusto percorso. E’ salutare pensare al futuro e chiedersi che cosa vogliamo veramente. Uno dei modi migliori per pensare al futuro è scriverlo, anche in maniera semplice, facendo un elenco dei propri obiettivi e aspirazioni. La scrittura ci aiuta a rendere i nostri pensieri più reali e tangibili. I pensieri, le idee vagano nella nostra testa, attraverso la scrittura li trasformiamo in qualcosa di concreto e raggiungibile. Scrivere i propri obiettivi ci aiuta a trasformare le nostre idee in qualcosa di tangibile. E’ un modo per poter rafforzare la nostra concentrazione e canalizzare le nostre intenzioni nella realtà.

Mettere in pratica gli obiettivi

L’esercizio per poter scrivere -e raggiungere- i propri obiettivi è facile: su un foglio scriviamo l’obiettivo con una sequenza temporale progressiva. Iniziamo ad indicare i goal della giornata, poi piano piano inseriamo quelli che si desidera raggiungere entro la settimana, il mese, i decenni successivi . E’ un modo per prendere in mano la propria vita, dandone la giusta direzione. Questo metodo, tra l’altro, raggiunge un altro importantissimo obiettivo: gestire al meglio la propria ansia perché ci aiuta a concentrarci sul nostro presente.

Del resto : ““Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” era il pensiero di un saggio come Seneca.

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Dire di no in 3 mosse

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Uno dei temi più affrontati durante le sessioni di Coaching è la difficoltà a dire di no. Il desiderio di compiacere gli altri, il timore di offendere, la paura di non essere amati o di deludere. Sono tante le motivazioni che sottendono a questa difficoltà di pronunciare una piccola parola di solo 2 lettere: no.

E’ capitato a tutti, c’è chi riesce in qualche modo a superare questa difficoltà, chi invece si cronicizza in questo atteggiamento che può creare davvero molto disagio e a volte anche sofferenza. Ma la buona notizia è che si può imparare a dire di no. In che modo? Basta volerlo e impegnarsi ad adottare degli atteggiamenti che possano superare questo impasse. Lo sappiamo, c’è una soluzione per tutto.

1. Ascoltiamoci

Spesso per non andare incontro ad emozioni negative e sofferenze, tendiamo a dire di sì, anche quando una parte di noi non è d’accordo. Quante volte per il cosiddetto quieto vivere, spesso anche inconsapevolmente, cediamo il nostro spazio, il nostro tempo è non diciamo di no? La prima cosa da fare in questi casi è ascoltarci. Se una parte di noi non è d’accordo, ascoltiamola. E’ importante anche domandarci come ci sentiamo fisicamente rispetto alla situazione. La domanda fondamentale da chiedersi è :” Che cosa è importante per noi?” E’ essenziale essere coerenti con i propri principi e e i propri valori e quando non si è d’accordo con il sì. Quando non diciamo no, è come se concedessimo agli altri una parte della nostra libertà. Se l’atteggiamento è costante, gli altri non solo si prendono la nostra libertà, il nostro tempo, ma per loro diventa addirittura normale chiedere qualsiasi cosa, se lo aspettano e al primo no si possono creare fratture proprio perché sono abituate a ricevere solo sì. Non è infatti sostenibile mantenere nel tempo atteggiamenti che prevaricano la nostra reale volontà. Accade così il contrario di quanto avevamo voluto all’inizio con il nostro atteggiamento sempre accomodante e disponibile. Perché può accadere che il no arrivi in un momento in cui l’altro non se lo aspetti o peggio quando noi siamo stanchi e arrabbiati e il no può essere pronunciato in maniera aggressiva. L’integrità , la trasparenza paga sempre. Ascoltiamoci dunque e siamo coerenti con noi stessi.

2. Dialoghiamo sempre

Si può trovare una buona negoziazione, un buon punto d’accordo per spiegare le nostre motivazioni del no. Essere chiari, sinceri. Ovviamente i chiarimenti richiedono tempo e la via più facile è dire di sì per evitare discussioni, dissapori. Giusto, ma poi? Nel tempo, lo abbiamo già visto, i malumori, i malesseri crescono se non ci siamo ascoltati e abbiamo acconsentito a situazioni o eventi che non erano in linea con le nostre vere inclinazioni. Le persone non sono sotto il nostro controllo, possiamo influenzarle, ma non sappiamo come la situazione si evolverà. Una buona comunicazione è anche una dimostrazione di rispetto nei confronti dell’altra persona, ma soprattutto nei confronti di noi stessi e produrrà i migliori risultati. Saper dialogare e comunicare bene paga sempre.

3. Essere chiari

Un concetto che non dobbiamo mai dimenticare è che non si dice no alla persona, ma alla sua richiesta. E’ un discrimine fondamentale e forse il cuore vero del problema. Dicendo di no abbiamo paura di ferire l’altro, abbiamo paura che non si senta accettato. Essere accettati e amati è quello a cui tutti aspiriamo. Dicendo di si pensiamo di fare un regalo. Ma non è così. Non si parla anche di no che fanno crescere ? La letteratura pedagogica è piena di titoli che sottolineano l’importanza dei no ai bambini, agli adolescenti. Proviamo a ricordare a qualche bel no pronunciato dai nostri genitori: non è stato fondamentale nella nostra crescita e nel diventare adulti responsabili? Allora pronunciamolo il no quando sentiamo che il sì non aiuterebbe noi, ma neanche la persona che ci è di fronte. Più c’è chiarezza nei valori, più è facile dire di no. Ricordiamoci però che, il più delle volte, il no più importante dobbiamo dirlo a noi stessi, prima che agli altri…

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Cancelliamo il concetto di fallimento

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Bisognerebbe bandire dal vocabolario la parola fallimento. Non significa non voler affrontare il tema, come se nascondessimo la polvere sotto il tappeto. Che cosa significa fallimento? Esiste un concetto universale di fallimento? Se prescindiamo dal termine giuridico che attiene allo stato di insolvenza di un imprenditore, sulla Treccani la definizione di fallimento è : “Esito negativo, disastroso, grave insuccesso: riconoscere l’inutilità dei proprî sforzi, l’impossibilità e incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione.”

Un concetto negativo in sé

La descrizione data dalla Treccani ne mette in risalto la connotazione negativa. Addirittura prefigura la rinuncia all’azione. Una condanna all’inazione perché, considerata la gravità della situazione , vi è una rinuncia totale all’agire. E’ dunque ovvio che chi pensa di incappare in un errore così grave, pensi di aver commesso un’azione che non può non andare incontro ad una reprimenda senza sconti. Ma chi decreta cosa è fallimento o no? La riposta sicuramente è nei modelli della nostra società che il più delle volte, al contrario, è prodiga nel fornire esempi di successo. Anche sul concetto di successo ci sarebbe da discutere. Se dunque, è questo il paradigma, la nostra vita non si uniforma a cliché e modelli di vita universalmente definiti di successo, si è destinati all’insuccesso e al conseguente fallimento. Insuccesso = fallimento.

La paura dell’errore

Essere diversi e non assuefarsi al pensiero dominante può trasformarsi, soprattutto per chi è ancora in una fase di evoluzione personale, in una fonte di grande frustrazione. Recenti fatti di cronaca, purtroppo, come il caso della studentessa diciannovenne dello Iulm, hanno messo in luce l’epilogo tragico a cui il senso di frustrazione può portare. Perché abbiamo paura del fallimento? Perché abbiamo paura di sbagliare? Le risposte sono complesse e attengono soprattutto al nostro bisogno di essere accettati, apprezzati, amati. Ma essere apprezzati per come siamo, senza il bisogno di uniformarsi a canoni che non ci appartengono , è sicuramente il punto di arrivo per uscire dalla sindrome del fallimento. Siamo persone uniche, speciali, con tutte le nostre forze e debolezze.

Imparare ad amarsi e accettarsi

L’accettazione di sé, la consapevolezza del nostro valore a prescindere dall’uniformarsi a criteri che altri vorrebbero scegliere per nostro conto, è un percorso di crescita complesso, ma che porta ad una liberazione interiore impagabile e di grande soddisfazione. Imparare a capire che da ogni errore possiamo rialzarci, apprendere e crescere è una grande risorsa. Impariamo a osservare e guardare eventuali cedimenti come un insegnamento per conoscerci e metterci alla prova. La crescita passa dalla caduta e dalla capacità di rialzarsi . E’ la resilienza, termine ormai usato e abusato, ma è proprio così. Considerare l’errore, lo sbaglio come un maestro da cui imparare per crescere ed evolversi. Senza contare che questo atteggiamento porta con se sé anche un altro importante insegnamento : assumersi la responsabilità delle proprie azioni. La responsabilità è un concetto fondamentale per la crescita personale . Ci aiuta a capire che siamo noi gli artefici del nostro destino, siamo noi a direzionare la nostra vita verso quello che è per noi importante. Cadere aiuta a rialzarsi e capire qual è la direzione giusta da intraprendere. Siamo d’accordo allora che la parola fallimento deve essere bandita dal nostro vocabolario? E se al suo posto dicessimo ” Questa non è la strada giusta per me, ho infinite altre possibilità tra cui scegliere. E’ nella mia facoltà e una mia responsabilità scegliere”? Decisamente meglio, il fallimento attiene quindi solo e soltanto al diritto civile.

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Grandi dimissioni: una nuova consapevolezza

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” Grandi dimissioni: 1,6 milioni in fuga dal lavoro in 9 mesi”. E’ Il tema all’ordine del giorno, è la notizia di cui si parla spesso sui giornali e nei dibattiti televisivi. Quiet quitting in inglese, grandi dimissioni nella nostra lingua. E’ una tendenza nata prima negli Usa, quindi negli altri paesi e ora anche da noi in Italia, dove si registra un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Val la pena di analizzare il fenomeno perché è lo specchio di un cambiamento, un nuovo paradigma che si affaccia nella nostra società. Senza scomodare i sociologhi, il fenomeno delle “grandi dimissioni” inizia da lontano, ma dopo la pandemia ha preso vigore e si va allargando sempre di più. Forse il concetto ” nulla sarà più come prima” invocato durante i mesi del lockdown, ha lasciato le sue conseguenze nel modo di vedere la nostra vita lavorativa.

Lo smart working ha cambiato l’approccio al lavoro

Le ragioni del fenomeno delle grandi dimissioni sono molteplici. Vediamo di esaminare le principali.

La volontà di trovare il giusto equilibrio tra vita personale e professionale. Sono cambiate le priorità. L’equilibrio tra vita affettiva e lavorativa è diventato un punto d’arrivo imprescindibile. Complice sicuramente il lavoro in smart working, una modalità più flessibile, ci si è resi conto che la nostra giornata non è fatta solo di riunioni interminabili, di una vita frenetica dove i tempi sono scanditi da altri e non da noi stessi, ma anche del piacere di stare in famiglia, con gli affetti più cari e del fatto di poter coltivare le proprie passioni. La qualità della propria vita è imprescindibile e diventa un bene a cui non vogliamo più rinunciare.

Generazioni a confronto

Il posto fisso non è più un punto d’arrivo. Qui gioca senz’altro il differente approccio culturale delle diverse generazioni : i boomers, i millenial e la generazione Z. Questi ultimi, soprattutto, hanno interiorizzato la necessità di dare maggiore attenzione al proprio benessere. Le loro scelte sono prima di tutto orientate alla ricerca di una maggiore qualità della propria vita. Da questo discende il desiderio di cambiare spesso luoghi di lavoro. Certo, il rovescio della medaglia è la mancanza di fidelizzazione all’azienda, che era stato uno dei capisaldi delle generazioni dei boomers. Ma anche su questo fronte i responsabili aziendali dovranno cercare di trasformare il frequente turn over del loro personale in forza propulsiva grazie all’innesto di nuove idee e approcci. Insomma trarre da un problema un’opportunità.

Grandi dimissioni = ricerca della propria crescita

Le grandi dimissioni sono anche una spia della volontà di mettersi in discussione per trovare altre opportunità di crescita non solo professionale, ma anche personale. Significa avere il coraggio di mettersi in ascolto dei propri bisogni più profondi. Una forma di ascolto di sé per poter esprimere al meglio la propria natura. Se pensate di essere arrivati in una fase della vostra esistenza nella quale la vostra realizzazione non deve più essere solo nella vostra vita professionale, se non è nella “carriera” che pensate di dovervi esprimere al meglio , ecco che, forse, siete forse arrivati al momento di girare pagina. La consapevolezza che l’espressione del sé può avvenire anche attraverso altri canali che non sono solo quelli professionali. Certo il bisogno di avere una sicurezza materiale ed economica sono alla base, ma se poi la nostra strada fosse nello scegliere uno stile di vita completamente diverso, magari in un altro luogo anche fisico? Se una vocina interiore vi sta dicendo che è arrivato il momento di cambiare, di scegliere una nuova vita, fermatevi ad ascoltarla.

Le powerful question

Se vi sembra giunto il momento di fare delle scelte, provate a rispondere a queste brevi domande. Come sempre prendete carta e penna: fissare nero su bianco i vostri pensieri aiuta a fare maggiore chiarezza.

  1. Come mi sento quando mi sveglio al mattino?

2. Quando penso di andare in ufficio che cosa provo?

3. In quale luogo mi sento davvero seren*?

4. Che lavoro mi sarebbe piaciuto fare da piccol*?

5. Qual è la mia grande passione?

Concludiamo il nostro breve esercizio attraverso un’attività creativa, che permette di mettersi in contatto con la parte più profonda di noi. Realizziamo una visual board, un tipico esercizio di Art Coaching. Prendiamo un cartoncino 50 x70 e attraverso i colori ( pastelli, pennarelli, matite colorate ciò che abbiamo a disposizione) o attraverso dei collage utilizzando dei ritagli da giornali, disegniamo quella che vorremmo fosse la nostra vita tra 2 anni. Per quest’attività cerchiamo di connetterci con la parte più profonda ed emozionale, senza lasciarci condizionare dalla nostra mente. Il risultato sarà sorprendente davvero. Fra 2 anni, riprendete la vostra visual board e vedete se la vostra nuova vita vi corrisponde. Potrete davvero sorprendervi.

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Emozioni da brividi

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Si sono appena spenti i riflettori sul Festival di Sanremo con la vittoria della canzone “Brividi” di Mahmood e Blanco e mi sento di fare alcune riflessioni.

Che le canzoni italiane presentate al Festival più famoso d’Italia parlino di emozioni e sentimenti accade da sempre, quasi da 72 anni, tanti sono gli anni di vita di questa performance canora.

Quelli che sono emersi, a pare mio, sono più aspetti.

La paura di esprimersi

Il primo : la consapevolezza della paura dell’incapacità dei ragazzi di esprimere i propri sentimenti . Le parole della canzone vittoriosa dicono “a volte non so esprimermi”, e la paura di sbagliare” ” ti vorrei amare ma sbaglio sempre”.

Non possiamo certo prendere le parole di una canzone come una verità assoluta, ma rivelano un nuovo atteggiamento, una nuova mentalità, un nuovo modo di pensare. La capacità e la volontà da parte dei ragazzi di mettersi in connessione con le proprie emozioni. Sembra che i ragazzi di oggi abbiano superato questo gap delle nostra generazione: un’educazione più rigida ci ha portato spesso reprimere le nostre emozioni. Non piangere, non comportarti da bambino: quante volte ce lo siamo sentiti ripetere? Questo atteggiamento genitoriale ha spesso inibito i figli a mostrarsi con tutte le proprie fragilità emotive. Una forma di auto sabotaggio emotivo che ci siamo portati avanti negli anni. La nostra energia emotiva è stata spesso repressa, castigata, frustrata. Poi la maturità ci ha portato a entrare in connessione anche con questa parte di noi, che per anni abbiamo voluto cancellare. L’equazione “sono emotivo quindi sono fragile” ha accompagnato spesso la crescita di molti della nostra generazione. Con tutte le conseguenze che questo atteggiamento ha influito sulle nostre vite, relazioni affettive.

Il superamento del maschio alfa

Ciò che è cambiato rispetto al passato è la consapevolezza. Il superamento della paura di esprimere le proprie fragilità emotive. Rendersene conto è già un primo passo per poter innescare un meccanismo di cambiamento e di andare oltre. Una presa di coscienza che prelude alla volontà di prendere in mano le proprie fragilità, esaminarle e mettere in atto una strategia per poterle superare. Una presa di coscienza che dimostra un’intelligenza emotiva. Essere consapevoli per poi poter riconoscere e gestire le emozioni. Autoconsapevolezza e gestione di sé procedono di pari passo. Un sociologo nel commentare il festival di Sanremo ha parlato di superamento del maschio alfa per la capacità di abbracciare le proprie emozioni e fragilità. Forse è un’osservazione un po’ eccessiva, ma ciò che sottintende è il superamento dell’incapacità di ascoltarsi e di esprimersi. Sottolinea un approccio diverso nei confronti di se stessi e superamento soprattutto degli stereotipi. Mettersi in ascolto di sé per potersi capire, conoscere meglio e conseguentemente potersi relazionare meglio con gli altri.

Essere emotivi, una nuova forza

Se dunque un tempo l’essere particolarmente emotivi, poteva apparire un limite, rivelava una personalità fragile, ora la la capacità di essere in contatto con le proprie emozioni, diventa un valore. Significa non solo conoscersi meglio, ma anche sviluppare sentimenti di empatia, una componente fondamentale dell’intelligenza emotiva. Alimenta la connessione fra sé e gli altri. Significa avere una buona capacità di ascolto. Significa “sentire” l’altro, “toccarlo” come ha detto Papa Francesco. Significa che si è in presenza della “Regola d’oro”, come scrive Justin Bariso nel suo libro ” Intelligenza emotiva applicata” .”tratta gli altri come tu stesso vuoi essere trattato”. Significa sapere coltivare rapporti più profondi, più sani, più leali. La nostra vita dipende dai rapporti che abbiamo con gli altri. A prescindere da quanto siamo autonomi e indipendenti, abbiamo sempre bisogno degli altri. Gli studi lo hanno messo in evidenza: i buoni rapporti ci rendono più felici e più sani.

Significa, in ambito aziendale, essere “leader gentili”, capaci di mettersi in ascolto dei bisogni di coloro che ci circondano. Significa valorizzare il team, il lavoro di gruppo. Significa seguire alla lettera l’insegnamento aristotelico “Il tutto è maggiore della somma delle parti”.

La fluidità, la nostra alleata

Il secondo aspetto attiene al tema che abbiamo affrontato durante il nostro ultimo workshop di ArtCoaching. Essere fluidi, essere aperti verso il modo senza pregiudizi e preconcetti. La maggior parte degli artisti che si è esibita sul palco ha dimostrato di aver superato la cosiddetta identità di genere, presentandosi in maniera libera e non stereotipata. E’ sicuramente un altro elemento di grande importanza. Sottolinea l’ascolto di sé e la capacità di connettersi con la propria natura, il proprio sé, senza paura del giudizio.

Una forma di grandissima di connessione, libertà ed espressività.

Riflessioni scaturite grazie ad un evento che dovrebbe essere leggero e spensierato. E qui non c’è che da citare la frase di Italo Calvino che è stata pronunciata sempre all’interno del Festival: “Prendere la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Il Festival quest’anno ci ha proprio ispirato.

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Come raggiungere la fluidità in 10 mosse

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“Fluidità, una nostra preziosa alleata” è stato il titolo del workshop di ArtCoaching che abbiamo organizzato il 27 Gennaio. Il tema ha riscosso molto successo perché ci ha permesso di ragionare su una condizione dell’animo umano, uno stato mentale che consente di poter affrontare la vita con uno spirito di grande apertura e accoglienza.

Nel ragionare sulla definizione da dare al concetto di fluidità, mi sono lasciata ispirare da un pensiero del Maestro zen Tich Nhat Hanh, scomparso proprio all’inizio della settimana. E’ stato un modo per omaggiare la sua figura oltre al fatto che ha saputo esprimere in maniera così chiara e cristallina il concetto di fluidità.

Il concetto di fluidità

“Non penserò che la conoscenza che attualmente possiedo sia la verità assoluta e immutabile. Eviterò di avere una mente ristretta, limitata alle mie opinioni attuali. Praticherò il non attaccamento alle credenze per  rimanere aperto al punto di vista degli altri. La verità si trova nella vita, non nelle nozioni intellettuali. Mi manterrò sempre disponibile a imparare dalla vita, osservando costantemente la realtà in me stesso e nel mondo”. Il pensiero del venerabile Maestro contiene molti spunti di riflessione.

Spunti di riflessione

Il concetto di non pensare di possedere una verità immutabile porta con sé l’idea che tutto si trasforma e si evolve. E’ il concetto di “Panta rei” di Eraclito. Tutto scorre. Tutto si trasforma. E’ un bel concetto che ci dà la prospettiva di una continua evoluzione, di una crescita che non si arresta mai. Il Maestro parla anche di non avere una mente ristretta: significa ancora una volta mettersi sempre in ascolto, di sé e degli altri. Ascoltare le opinioni altrui, confrontarsi, non smettere mai di favorire il dialogo : sono tutti stimoli per avere una mente aperte e ricettiva.

Il punto di vista degli altri

Il confronto con schemi di pensiero, culture diverse è sicuramente una ricchezza e una forma di apertura che ci porta a non vedere le situazioni dal nostro punto di vista. Significa aprirsi al modo di pensare e di ragionare di chi è diverso da noi. Significa non rinchiudersi nei propri steccati, confrontandosi solo con chi è uguale a noi, omologato a noi. L’omologazione è l’esatto contrario di fluidità che invece abbraccia il concetto di differenziazione e non conformità e conformismo.

Continuare ad imparare

“Mi manterrò sempre disponibile ad imparare dalla vita” dice sempre Il Maestro. E’ un bello spunto. Lo avvicinerei al concetto di “So di non sapere”, che ci dà la spinta a studiare, informarsi e formarsi costantemente. E l’idea che il nostro sapere e la sete di conoscenza non si esaurirà mai. E’ una forma di motivazione e spinta continua. La fluidità richiama proprio questo concetto di fluire, di scorrere e torniamo nuovamente a Eraclito.

Un decalogo per coltivare la fluidità

La fluidità, lo abbiamo visto, è uno stato mentale, una categoria della mente. Una leggerezza dell’animo che porta con sé un approccio all’esistenza che si traduce anche nella capacità di lasciare andare, di avere un atteggiamento di grande apertura e non chiusura.

Anche se è una categoria dello spirito, la fluidità si può anche coltivare attraverso una serie di comportamenti, di azioni e buone pratiche che si possono attivare. Significa sapere pensare fuori dalla scatola “Thinking outside the box”, un’espressione che viene usata spesso negli ambienti di lavoro o di studio per spronarci ad uscire dai soliti schemi mentali e cambiare il nostro modo di pensare abituale.
Non è semplice, ma sforzarsi di risolvere i problemi osservandoli da nuove angolazioni, andando oltre i propri limiti, offre tantissimi benefici e aiuta a sviluppare nuove skills, fra cui la fluidità, appunto.

Vediamo insieme alcuni metodi pratici per poter ragionare fuori dagli schemi

1. Capovolgere la situazione

 Questo modo di procedere, può aiutare a vedere scenari, che altrimenti non sarebbero stati evidenti. Il nostro cervello è così abituato a seguire gli stessi schemi che spesso ne esclude molti altri e non siamo capaci di vederli finché non cambiamo punto di vista. Mettersi nei panni degli altri o esaminare la prospettiva da un’angolazione diversa, può dare i suoi frutti.

2. Lasciare il controllo  

Saper lasciare andare, senza farsi assalire dai sensi di colpa e smettere di rincorrere l’insano senso di perfezionismo. Lasciamo andare gli ormeggi, perdoniamoci se l’idea di noi stessi non corrisponde ai canoni dell’iper efficienza, in cui ci siamo ingabbiati. Impariamo a perdonarci e a perdonare. E dedichiamo del tempo a noi stessi concedendoci le attività che ci fanno stare bene: : andare a correre, nuotare, ballare, meditare, dormire… ognuno ha il suo modo per centrarsi e lasciar andare.

3. Essere aperti a nuove esperienze, persone, luoghi. 

Provare tutto, almeno una volta nella vita (tranne ciò che è chiaramente nocivo, ovviamente). L’obiettivo è conoscere e non giudicare. Viaggiare, andare a conferenze, leggere. Aprirsi alle novità e uscire dal seminato aiuta a cambiare le prospettive.

4. Seguire un corso 

Imparare qualcosa di nuovo non insegnerà solo nuove nozioni, ma anche a guardare le cose in modo diverso e attribuire loro un significato differente.

5. Leggere un libro diverso dal solito

Leggere apre la mente, ma leggere qualcosa che non appartiene al nostro solito genere può aprirci a nuovi mondi. Approfondire un argomento poi ci aiuta ad acquisire maggiore padronanza della materia oltre che allargare i nostri orizzonti. Un modo per rafforzare la nostra autostima.

6. Dipingere

Chi hi frequenta i nostri workshop di ArtCoaching lo sa: dipingere o realizzare attività artistiche sviluppa non solo la creatività, ma consente di poter entrare in relazione con la parte più intima di se stessi. E’ un modo per connettersi alla propria emotività, stimolando l’emisfero destro del nostro cervello. E ‘ un modo che può aiutare a modificare il nostro modo di pensare attraverso la visualizzazione creativa.

7. Lavora a ritroso 

Questo sistema permetterà di rompere gli schemi mentali legati alla causalità temporale. E’ la chiave della “pianificazione a ritroso” in cui si parte dal pensare all’obiettivo che si vuole raggiungere e poi si torna indietro ragionando su tutti gli step che si sono realizzati per arrivare al risultato finale.

8. Chiedere aiuto ad un bambino

I bambini pensano e parlano ignorando le convenzioni sociali. Ascoltare i consigli di un bambino può aiutare a pensare fuori dagli schemi. E ricordiamoci anche di continuare ad ascoltare il bambino che è in noi…Non ci deluderà e ci farà vedere la situazione da una prospettiva insolita!


9. Agisci in modo casuale  

Cerca di accettare gli errori che hai commesso e integrali nel tuo progetto sviluppando strategie che partono da input casuali. Non si dice che “sbagliando, si impara”? Potrebbe essere un modo per uscire dagli schemi accettare l’errore…e perdonarci per averlo commesso!

10. Sorprendersi 

Fare almeno una volta un passo fuori dalla “zona di comfort . Provare a realizzare e a vivere esperienze mai vissute può farci scoprire una parte di noi che non conoscevamo. Non diamo mai nulla per scontato e apriamoci alle nuove avventure. La fluidità in questo caso è assicurata!







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Colora il tuo futuro

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“Colora il tuo futuro” è stato il titolo dell’ultimo workshop di ArtCoaching dell’anno. Come da tradizione, la fine dell’anno è l’occasione per tracciare un po’ il bilancio di quanto abbiamo vissuto nel corso del 2021. E’ il momento in cui si analizza quanto è stato fatto: si verifica se le attese e gli obiettivi che avevamo espresso all’inizio dell’anno si sono verificati.

Flessibili e resilienti

Il più delle volte non è così: l’imprevisto è sempre in agguato. Le circostanze esterne- e negli ultimi due anni le circostanze hanno avuto un nome che abbiamo quasi paura a pronunciare – hanno cambiato il corso dei nostri progetti. Abbiamo imparato però a gestire l’emergenza. Siamo stati flessibili e siamo riusciti a cambiare in corsa quel progetto, quell’iniziativa che avevamo in animo di realizzare. Il più delle volte il bilancio dell’anno concluso ci porta a riconoscerci più flessibili, adattabili. L’anno scorsa la parola più in voga e utilizzata è stata resilienza. Quest’anno la resilienza è diventata una caratteristica insita in noi. Siamo intrinsecamente resilienti. E’ diventato un tratto caratteriale. E’ entrato nel nostro Dna. Il futuro sarà abitato solo da resilienti. Ma qual è la parola dell’anno 2021? Ce lo siamo chiesto durante il nostro workshop.

La parola dell’anno

Sicuramente il vocabolario è stato più vario quest’anno. Le parole magiche sono state equilibrio, condivisione. Ci siamo assuefatti alla situazione circostante, che da eccezionale è diventata ormai normale. Per poter affrontare i marosi e le tempeste occorre essere in equilibrio. E’ come essere su una tavola di surf e cercare di solcare le onde senza mai cadere. Un equilibrio precario, ma pur sempre equilibrio. Questo grazie alla consapevolezza di sé, la capacità di non farsi sopraffare dalle circostanze esterne, come se avessimo una bussola interiore che ci indica sempre la direzione che dobbiamo intraprendere. Essere centrati e allineati. Abbiamo imparato ad affrontare il futuro con questa nuova consapevolezza.

Condividere

L’altra parola magica che sicuramente ha caratterizzato il 2021 è stato condivisione. Dopo il forzato distanziamento a cui siamo stati costretti l’anno scorso e nella prima parte di quest’anno, abbiamo apprezzato ancora di più il valore degli affetti, dello stare insieme. Da incalliti individualisti abbiamo imparato ad apprezzare la collettività. Abbiamo apprezzato il valore degli altri. Abbiamo imparato a non dare nulla di scontato. Abbiamo cominciato ad apprezzare quelle situazioni che credevamo fossero la norma e invece non lo erano. Ogni giorno dobbiamo essere consapevoli che è un dono. Dobbiamo coltivare la gratitudine quotidianamente. Essere consapevoli di quello che abbiamo, concentrandoci sulla presenza e non sull’assenza.

Un esercizio di consapevolezza

Provate anche a voi a fare lo stesso esercizio che abbiamo fatto noi ieri durante il workshop: quale parola ha caratterizzato il vostro anno? Per i più creativi la domanda potrebbe anche essere “se fosse stato un film l’anno che si sta concludendo, che film sarebbe stato?” E’ il gioco del “se fosse” che abbiamo fatto tutti da bambini. Lasciar andare l’immaginazione ci aiuta a connetterci con il nostro io più profondo. Uscire dagli schemi mentali ci porta a essere più spontanei, più creativi. Diventare per un po’ bambini ci aiuta a liberarci dai condizionamenti. Possiamo mettere le ali alla nostra fantasia. Provateci, sarà piacevole. Durante il nostro workshop ci siamo liberate e abbiamo dato libero sfogo alla creatività e i risultati sono stati davvero sorprendenti. Liberi dal lasciarsi andare…

Cosa ci riserva il futuro

Se è vero che “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, è nel visualizzare il proprio futuro in maniera creativa che possiamo gettare le basi per la creazione di ciò che ci sta veramente a cuore. Provate ancora una volta a trare ispirazione da un film o anche solo dal titolo per iniziare a visualizzare ciò che vorreste davvero realizzare. Mettetevi in ascolto del vostro istinto, della vostra anima per capire cosa vi fa stare veramente bene. Sarà la bussola che vi indicherà la strada da percorrere. Per essere artefici del vostro destino e per colorare il vostro futuro. Buon 2022 di consapevolezza a tutti.

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Come liberarsi dal bisogno del controllo

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Quante volte ci siamo sentiti sopraffatti dal bisogno di controllare tutto e tutti? Il tema è già stato affrontato più volte. Eppure la realtà ci pone di fronte quasi quotidianamente a persone che non riescono a vivere in maniera serena, senza dover agire con questo bisogno del controllo spesso esasperato.

Per prima cosa occorre chiedere perché si agisce così? Le ragioni sono molteplici, ma la risposta più diffusa è l’incapacità di poter far fronte agli imprevisti, la non capacità di misurarsi con situazioni inaspettate. Esercitare il controllo significa avere sempre tutto…sotto controllo, appunto. Pensare che tutto si possa svolgere e realizzare secondo quanto abbiamo programmato ci dà sicurezza, ci dà la percezione che tutto si possa svolgere senza imprevisti. L’incapacità di gestire l’imprevisto è sempre sintomo di insicurezza, genera stress. Spesso è la spia di una scarsa autostima.

Controllo ergo non sbaglio

Non sapersi misurare con quanto crediamo di non conoscere, la paura dell’ignoto è ciò che spesso alimenta questo nostro desiderio di esercitare il controllo. Come se nella nostra testa volessimo immaginare, ripercorrere quello che dovrebbe succedere. Come in una rappresentazione teatrale, dove l’attore prova e riprova la stessa scena. Ma lì esiste una piéce, un autore che ha previsto come la scena da copione debba svolgersi. Ma la vita – fortunatamente- non è così. Esistono gli imprevisti, le situazione inaspettate. La nostra esistenza è piena di colpi di scena, a volte fortunati, a volte meno. Ma il sapersi misurare e il sapersi adattare è il bello della vita stessa. Vorremmo forse un’esistenza in cui l’esito finale fosse già conosciuto? Vogliamo già conoscere come va a finire il nostro film? La risposta è no. Dobbiamo invece poterci organizzare come se avessimo a disposizione una cassetta degli attrezzi, uno per ogni situazione davanti alla quale ci si trovi. Uno per ogni guasto che si possa palesare. Un cacciavite, una chiave inglese per qualsiasi emergenza…

La libertà di trovare la soluzione

Non pensate che essere attrezzati a gestire ogni imprevisto sia sinonimo di grande libertà? Significa non essere ingabbiati nella schiavitù della paura. La paura di sbagliare. Di non essere all’altezza. Sapere che dentro di noi ci sono tutte le risposte e le risorse per affrontare ogni circostanza, lo strumento giusto al momento giusto, ci fa sentire consapevoli della nostra forza interiore. Superare la paura di commettere errori. Perché cos’è l’errore? Che cosa ci spaventa tanto? Il giudizio degli altri ? La nostra percezione di non essere all’altezza? E per chi? per noi? Per gli altri? Liberiamoci da questa paura. Spesso dagli sbagli si impara. Quindi perché avere paura dell’errore? Anzi, ci aiuta a migliorarci e ad evolverci. Sbagliando si impara, lo dice anche il proverbio.

Imparare dagli errori

Quindi ben venga l’errore, se ci può aiutare a superare una nostra resistenza, un nostro limite. Ci insegna ad essere flessibili. Se tutti i giorni ripetiamo ossessivamente le stesse azioni, senza introdurre mai nulla di nuovo, ci sentiamo appagati? Forse plachiamo la nostra ansia momentanea, ma poi ci atrofizziamo. Non cresciamo, non evolviamo. Se, viceversa, ci troviamo di fronte ad una nuova circostanza, possiamo mettere a frutto la nostra capacità di problem solving. E una volta trovata la soluzione, la nostra autostima ne trae giovamento. E’ un circolo virtuoso: affronto il nuovo, trovo la soluzione, sono fiero di me. E sono di nuovo pronto ad affrontare una nuova sfida. Lanciarsi in nuovi progetti, in nuovi modi di affrontare le situazioni ci permette di uscire da quella zona di comfort nella quale ci siamo confinati. Il bisogno di controllo spesso è anche un modo per boicottarci. Non volerci mettere alla prova proprio per rimanere confinati nel nostro cantuccio. Aprirci al mondo significa metterci anche in ascolto di noi stessi. Significa prendere consapevolezza delle nostre capacità.

Le aspettative disattese

Se vogliamo liberarci dal bisogno del controllo, dobbiamo anche liberarci dalle nostre aspettative. Sono loro spesso le nostre gabbie. Sono diverse le aspettative che spesso noi nutriamo:

-nei confronti di noi stessi,

-nei confronti degli altri,

-nei confronti della vita in generale.

Nutrire aspettative significa essere condannati ad una vita dove il più delle volte sono disattese. E questo non può che generare frustrazione e spesso rabbia. Innesca un circolo vizioso, dal quale è difficile uscire . Controllo affinché le mie aspettative si possano realizzare, non si realizzano, mi sento frustrata, allora aumento il mio controllo. Un modo per cercare di uscire da questo meccanismo perverso è chiedersi e descrivere dettagliatamente quali sono le nostre pretese, in tutte 3 le aree che abbiamo elencato. Quando capiremo che le nostre aspettative ci tolgono energia e benessere, quando avremo capito che la soluzione è lasciare andare, accogliere ciò che la vita ci può offrire, senza esercitare alcun tipo di controllo, allora saremo veramente liberi di accettare con gioia l’inaspettato. Perché come dice Alejandro Jodorowsky:” Il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei”

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Scopri il tuo ikigai

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“Scopri il tuo Ikigai” è stato il titolo del nostro workshop di ArtCoaching. Il tema non è certo nuovo, ma occorre ogni tanto risintonizzarsi su ciò che ci rende realmente felici e ci dà lo stimolo per alzarci tutte le mattine con entusiasmo. L’ikigai (生き甲斐) (iki-vivere, gai-ragione) è l’equivalente giapponese di espressioni italiane quali “ragione di vita”, “ragion d’essere”. L’argomento dell’Ikigai è stato anche l’occasione per riflettere non solo sulle nostre scelte, ma sulle non scelte, una riflessione su quello che talvolta non abbiamo fatto per timore, paura di non essere all’altezza. Qualche volta la nostra non-scelta è stata anche dettata da quelle che, nel corso del workshop, ho definito le “sirene dell’amore”. A volte, prima di metterci ad ascoltare la nostra voce interiore , ci poniamo in ascolto di istanze di coloro che amiamo, dei componenti della nostra famiglia, ad esempio. Quante volte ci è capitato di volerli assecondare per paura di contraddire i sogni degli altri e non i nostri? Il nostro bisogno di essere amati, gratificati passa davanti a tutto e spesso calpesta la nostra passione. Non abbiamo voluto o saputo seguire il nostro Ikigai per paura di non essere compresi e amati.

Mettersi in ascolto

Certo crescendo questo bisogno di avere l’appoggio incondizionato viene meno. Diventiamo adulti e abbiamo gli strumenti per capire che se noi siamo felici, sereni e appagati, lo sono anche coloro che ci vogliono veramente bene. Sempre semplice, ma è un concetto che fatichiamo a fare nostro. Temiamo che la nostra felicità possa passare dall’infelicità dell’altro. Ma è solo un tentativo di autosabotaggio. E’ una credenza limitante. Un alibi per non uscire dalla nostra zona di comfort. E per non responsabilizzarci. Scegliamo di avere un capro espiatorio, qualcuno al quale attribuire la causa della nostra non felicità o realizzazione. E’ la condizione della vittima. Lo spiega bene Selene Calloni Williams nel suo libro “Ikigai- Ciò per cui vale la pena vivere”, scritto in collaborazione con Noburi Okuda Do. Gli autori spiegano che per poter raggiungere la nostra piena realizzazione dobbiamo intraprendere un percorso a tappe che ci porta ad una trasformazione alchemica, che consiste in un percorso di trasformazione interiore che ci porta ad identificarci con la nostra anima e a trovare il nostro ikigai.

Lo stadio della vittima

La prima tappa di questo percorso è uscire dalla gabbia del vittimismo dove riteniamo che tutto “accada a me”. Proviamo a ragionare su tutte le volte in cui ci siamo sentiti vittima nel corso della vita. Analizziamo tutte le volte in cui abbiamo attribuito a circostanze esterne le nostre disavventura. E’ la sindrome di Calimero. Tutto accade a me perché sono piccolo e nero, come recitava la reclame ( siamo negli anni 60-70 anni e si chiamava proprio così) di Carosello, che senz’altro i boomers o gli esponenti della generazione X si ricordano…E’ capitato almeno una volta di tutti.

I condizionamenti

La seconda tappa per poter prendere piena consapevolezza di ciò per cui vale la pena vivere, per essere nel flow, dal momento che è questo il sentimento dell’ikigai, provare il massimo piacere perché si è in linea con la propria passione, consiste nel domandarsi che cosa abbiamo voluto in passato perché in linea con i valori famigliari, sociali. In una parola il condizionamento che ci ha portato a fare scelte che non erano in linea con la nostra anima. Troppo spesso le nostre decisioni sono state dettate da scelte altrui. Lo abbiamo visto. Le sirene dell’amore ci hanno spesso allontanato dal nostro Ikigai. La consapevolezze è il primo passo per prenderne coscienza e fare la scelta adeguata. Bisogna liberarsi dalle manipolazioni, dai ricatti morali e affettivi. Ikigai significa fare esattamente ciò per cui la nostra anima è venuta. James Hillman ce lo insegna nel suo “Codice dell’Anima”.

La nostra missione

E’ questo ciò a cui dobbiamo ambire. Individuare la nostra passione, capire che cosa ci appaga totalmente, che non ci rende mai stanchi e che potremmo fare per ore senza stancarci mai. Provate a a chiedervi quale sia il vostro grande ideale. Non abbiate paura di ammetterlo a voi stessi. Lo possiamo trovare anche in tarda età. Non importa. Ciò che è fondamentale è poterlo capire per poterlo perseguire e mettere in atto.

La paura di non essere all’altezza

Cosa ci impedisce di mettere in pratica, una volta individuato, il nostro ideale? Spesso la paura di non farcela, l’insicurezza di non essere abbastanza. Scriviamo nero su bianco allora quelle che sono le nostre paure, i nostri timori. Prenderne consapevolezza è un modo per poterle affrontare con determinazione. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura” diceva Sun Tzu nell’Arte della Guerra. Guardare il nemico negli occhi significa essere pronti per affrontarlo.

Disegna il tuo ikigai

Superati questi stadi: la vittima, ciò che si perseguiva a causa di condizionamenti esterni, l’individuazione del nostro ideale, il superamento delle paure, si è pronti alla trasformazione: diventare ciò che vogliamo essere. Perché l’ikigai ci consente di essere, non di avere. Esprime la nostra vera natura. Ci allinea al nostro io più profondo. Una volta individuato, così come abbiamo fatto nel nostro bellissimo workshop, esprimiamolo anche visivamente. Realizziamo il simbolo del nostro Ikigai. Diamogli una forma, oltre che una sostanza. Esprimiamo così “l’essenza nella forma”.

Perché la visualizzazione è molto potente. E durante i nostri workshop di ArtCoaching lo sappiamo bene.

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Comprendere le differenze

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“Comprendere le differenze”” è stato il titolo dell’ultimo workshop di Art Coaching che abbiamo organizzato. Il tema che è stato affrontato aveva come oggetto la presa di coscienza che ognuno di noi è diverso l’uno dall’altro. Ciascuno di noi ha un proprio vissuto, una propria storia e conseguentemente un modo diverso di relazionarsi con gli altri. E’ un’ovvietà, direi lapalissiano, eppure siamo così convinti di esserne consapevoli e soprattutto accettarlo?

Superare i conflitti

Prendere coscienza del fatto che non siamo tutti uguali, che esistono notevoli differenze gli uni dagli altri è la ragione principale dell’insorgere dei conflitti. Avere opinioni, punti di vista diversi scatena sentimenti negativi, che spesso minano i rapporti fra le persone. Tutti vorremmo vivere d’amore e d’accordo. Peace & love. Ma ai nostri patti. La ragione è sempre dalla nostra parte, non di quella degli altri. E’ la proiezione dell’ego. Noi siamo nella ragione e gli altri nel torto. Per poter superare i conflitti bisogna sapere vedere la situazione da prospettive differenti. Come se uscissimo dalla nostra mente e dal nostro corpo e osservassimo la situazione da un altro punto di vista. Cosa vediamo? Che emozioni proviamo? Ragionare in terza persona ci aiuta ad esaminare le circostanze in maniera oggettiva, senza essere condizionati dal nostro stato d’animo dalle nostre emozioni. Provate a ragionare e ad agire in questo modo la prossima volta che si verifica una situazione potenzialmente conflittuale.

Capire i bisogni

Se abbiamo deciso di intraprendere un percorro volto a comprendere ed accettare le differenze, dovremo anche chiederci quali sono i bisogni delle persone che ci circondano. Ognuno di noi è mosso da motivazioni diverse. Ognuno agisce spinto da bisogni emozionali diversi: sentirsi al centro dell’attenzione, amato, considerato, avere certezze, con credenze differenti che nascono dall’ambiente, dalle esperienze di vita. Una buona base può essere ripassare i bisogni della piramide di Maslow, sempre utile. C’è però un superamento della teoria del nostro bravo psicologo stra citato nei progetti di motivazione e incentivazione che realizzavo nella mia vita passata. E’ la teoria delle Dinamiche a Spirale proposta dallo psicologo Clare Graves e che il bravo collega Coach Claudio Belotti ci ha fatto conoscere in Italia. La teoria è molto complessa e occorrerebbe giorni di studio. Può però essere illuminante la lettura del libro “Capire e prevedere i comportamenti degli altri con le dinamiche a spirale” di Christopher Cowan, Natasha Todorovic, Claudio Belotti.

Gli 8 livelli

In estrema sintesi, la teoria delle Dinamiche a Spirale ci dice che ogni persona, a seconda del proprio stato di evoluzione psicologica ed evolutiva, transita in uno dei livelli della spirale – sono 8-e ad ogni livello corrispondono motivazioni, esigenze, credenze che motivano azioni e scelte differenti. Comprendere il livello nel quale il nostro partner, il nostro capo, collega, amico appartiene ci aiuta a comprendere le ragioni per le quali si comporta in un determinato modo. E’ possibile così anche prevedere ciò che farà, come penserà evitando l’insorgere di conflitti, risentimenti e incomprensioni. Comprendere se siamo ad un livello verde piuttosto che rosso – Graves ha distinto in 8 colori differenti i diversi livelli- ci aiuta a comprendere meglio le differenze, ci permette di instaurare relazioni improntate alle comprensione, oltre che più proficue ed empatiche.

L’empatia è la risposta

Sì perché ancora una volta può correre in soccorso la nostra intelligenza emotiva, la capacità di entrare in contatto con le persone, sapendo sviluppare sentimenti di empatia e compassione. Senza dimenticare l’ascolto: l’arma più potente per comprendere le differenze. Sembra però che sia lo strumento più difficile da attivare…Proviamo ad esercitarci ad ascoltare gli altri e anche noi stessi…

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Il ciclo emotivo del cambiamento

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Negli auguri che ci stiamo scambiando in questi giorni ricorrono parole chiave: rinascita, rinnovamento. C’è un forte desiderio da parte di tutti di cambiamento. Della situazione che ormai stiamo vivendo da oltre un anno e che sembra sempre immobile, con poca luce in fondo al tunnel. Cambiamento della nostra routine, che sta diventando sempre più stretta tra smartworking, dad, relazioni sociali azzerate. In attesa che qualcosa cambi, cambiamenti che purtroppo non possono essere originati solo da noi ( a parte i nostri comportamenti di osservanza delle regole di distanziamento, non assembramento ecc ecc) proviamo a ragionare su quello che possiamo modificare noi stessi.

Il cambiamento nasce da noi stessi

Se vogliamo che qualcosa cambi dobbiamo partire da noi stessi. Quante volte abbiamo sentito questa frase? Tante, tantissime, ma è una verità inconfutabile. L‘unico controllo che possiamo esercitare è quello su noi stessi, lo abbiamo già scritto, perché come dice Tom Peters ” il cambiamento è una porta che si apre solo dall’interno”, metafora perfetta. Quindi analizziamo quello che sta stretto nella nostra vita, cosa non siamo più in grado di sopportare e mettiamoci all’opera. Ma prima ascoltiamo qualche consiglio utile per imparare a gestire al meglio il nostro cambiamento, prendendo in considerazione quelli che sono gli stadi emotivi che tutti siamo chiamati ad affrontare. Una volta compreso quello che ci aspetta, saremo in grado di affrontare il cambiamento con spirito costruttivo e positivo.

Le 5 fasi

I consigli ci vengono da Don Kelley e Daryl Conner, due ricercatori americani che notarono che molti degli individui che avevano affrontato un cambiamento volontario, si erano ritrovati ad attraversare 5 fasi, e in ognuna di queste fasi avevano vissuto un preciso stato emotivo. Svilupparono così l’Emotional Cycle of Change (ciclo emotivo del cambiamento) e lo pubblicarono nell’ “Annual Handbook for Group Facilitators” del 1979. Il modello delinea le cinque fasi emotive che la maggior parte delle persone attraversa durante il cambiamento volontario.

La fase 1: ottimismo ingiustificato

Chi non ha mai provato un grande stato di eccitazione quando è in procinto di affrontare un nuovo progetto? Siamo pieni di entusiasmo , l’adrenalina è a mille e e la nostra motivazione è ai massimi livelli. Siamo pervasi da uno stato di invincibilità – poco razionale e del tutto ingiustificata. In questa sindrome da superman e superwoman occorre seguire due consigli pratici. Il primo è quello di stilare e mettere per iscritto ( il potere della visualizzazione ci può venire in soccorso) quelli che sono i benefici che ci aspettiamo da questo cambiamento. Lavoriamo con la nostra energia cognitiva e pensiamo in maniera razionale e non emotiva. Il secondo consiglio è quello di mettere un po’ il freno a questo nostro impeto di voler raggiungere subito il risultato. Pensiamo a quando dobbiamo fare una corsa : mantenere sin dall’inizio la giusta andatura ci permette di non disperdere da subito tutta l’energia, ma conservarla e dosarla in maniera equilibrata. Insomma, abbondiamo la modalità “voglio tutto e subito”, non paga. Dosiamo le nostre forze e ricordiamoci che chi va piano…va sano e va lontano.

La fase 2: pessimismo giustificato

E’ il momento dello scoramento. Siamo partiti pieni di belle speranze, ma l’entusiasmo, quella forza propulsiva che ci aveva sostenuto nella prima fase, inizia a calare. Le difficoltà che troviamo lungo il nostro cammino aumentano la nostra frustrazione e l’assenza di risultati tangibili intacca la nostra motivazione. E ‘ qui che affiorano le domande” Perché ho iniziato questo percorso?” ” Che senso ha continuare?” e la nostra vocina interiore ci dice anche “Ma sì, anche se rimando a domani, cambia qualcosa?” ” Che senso ha continuare, tanto non ce la farò”. Ben arrivati nella Valle della disperazione. E’ questo lo scoglio sul quale tutti i nostri buoni propositi si infrangono…E’ questo il momento in cui il 90% dei tentativi di cambiamento si annullano. L’entusiasmo della prima fase è svanito. E’ questo il momento in cui dobbiamo far ricorso a tutta la nostra forza di volontà per poter proseguire nel nostro cammino.

Fase 3 : realismo incoraggiante

Coloro che riescono a superare la fase del pessimismo giustificato, iniziano a vedere il cambiamento in maniera più oggettiva. Diventano più consapevoli degli ostacoli che dovranno affrontare ed iniziano ad elaborare le strategie che permetteranno loro di superarli con successo. Una modalità può essere quella di darsi una data di scadenza e valutare i progressi raggiunti. Rafforza la nostra motivazione e ne beneficia la nostra autostima. Ci focalizziamo su cosa ha funzionato e possiamo costruire una strategia per poter proseguire, facendo tesoro dei nostri risultati, seppur parziali. E’ la fase più importante di tutto il percorso, perché ci dà l’energia per poter proseguire lungo la nostra via del cambiamento.

Fase 4: ottimismo giustificato

Rimaniamo focalizzati sulle singole azioni per un periodo sufficientemente lungo – solitamente 90 giorni- ed entriamo nella quarta fase del ciclo emotivo del cambiamento. Non siamo ancora arrivati alla meta, ma siamo vicini. E’ in questa fase che possiamo consolidare la nostra posizione mettendo in atto un’azione importante: aiutare gli altri. Noi siamo riusciti a superare tutte le fasi complesse, abbiamo scavallato la valle della disperazione e conosciamo bene gli stati emotivi e gli ostacoli che abbiamo superato. Condividerli con gli altri è un modo per essere noi stessi testimoni del fatto che ottenere un cambiamento è possibile. Diventiamo una guida, un mentore. E sappiamo quanto fa bene fare del bene.

Fase 5 : conclusione

E’ fatta, siamo arrivati al termine del nostro cammino verso il cambiamento e possiamo celebrarci. Siamo stati davvero bravi, non era scontato, per cui non sottovalutiamo il nostro successo. Celebriamoci e premiamoci. Mandiamo messaggi positivi al nostro cervello perché possiamo diventare consapevoli dei nostri successi. L’autostima ne trarrà grandi vantaggi. Dobbiamo essere fieri di noi. Come vi sentite? Avete cambiato la vostra opinione si di voi? E’ cambiamento anche questo… Siamo pronti per una nuova rinascita. A proposito, buona Pasqua di luce e rinascita a tutti!

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Pessimista o ottimista? E’ una questione di prospettiva

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Sapete qual è la domanda giusta da porsi di fronte alle difficoltà ? ” Cosa ho bisogno di imparare da questa situazione e come posso crescere”? E’ questo l’approccio giusto per superare ogni situazione difficile. Perché da ogni circostanza, anche la più disastrosa, abbiamo sempre la possibilità di poter trarre insegnamenti e stimoli per poter cambiare, crescere, evolverci. Non si tratta semplicemente di aver un atteggiamento ottimista, resiliente. Certo non guasta. Ma di avere la capacità di osservare le situazioni da una prospettiva differente.

Il principio del reframing

Si tratta del principio del reframing, che consiste nel cambiare il significato di una situazione, di un modello comportamentale, o di un problema, attribuendogli una diversa immagine. Il mutamento della percezione è seguito da un cambiamento del significato della situazione, e la conseguenza è un cambiamento nelle reazioni e nei modelli comportamentali. E’ una prospettiva che si basa quindi sulla ricerca di un’intenzione positiva piuttosto che negativa. Gli ottimisti passano la loro vita riformulando le esperienze. Cercano automaticamente il positivo in ogni situazione e la reinterpretano per applicare un significato positivo all’esperienza. I pessimisti, invece, si comportano in maniera opposta. Interpretano le loro esperienze di vita andando automaticamente a cercare le situazioni negative. Il reframing fornisce una diversa prospettiva nel vivere un’esperienza.

Saper cogliere le opportunità

L’approccio positivo è quello, quindi, che ci consente non solo di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma anche di poter cogliere le opportunità che ogni circostanza comporta. E’ stato l’approccio che ci ha aiutato durante questi mesi difficili della pandemia. Quello spirito resiliente e ottimista, che ci ha permesso di cogliere le opportunità di una sosta forzata. C’è chi ha approfittato per riprendere a studiare, fare esercizi fisici seguendo tutorial o corsi on line. Grazie al benedetto zoom – lunga vita a chi lo ha inventato- abbiamo potuto seguire webinar, lavorare in smartworking, rimanere connessi con amici e parenti. Io e le mie amiche colleghe art therapist, Saba & Maryam, abbiamo potuto realizzare un’infinità di workshop di ArtCoaching e costruire una vera a propria community con tutte ( abbiamo avuto anche una presenza maschile, a dire la verità) coloro che ci hanno seguito durante quest’anno di incontri online, con persone, tra l’altro dislocate in altre città. Situazione che non si sarebbe mai potuta realizzare dal vivo. Io ho imparato a ideare e realizzare webinar, come quello sull’intelligenza emotiva, moderare dibattiti, realizzare dirette sui diversi canali social. Mai avrei creduto di poterlo fare anche solo un anno fa. Queste le cose che ho imparato, grazie a questa situazione di difficoltà, per rispondere alla domanda d’esordio.

Le imprese resilienti

Un interessante articolo pubblicato su D di Repubblica la scorsa settimana ha raccontato storie di aziende e professionisti che hanno saputo reinventarsi in quest’anno di lockdown , cambiando paradigma o addirittura settore di attività. Minimo comun denominatore di queste storie di resilienza, un atteggiamento ottimista, che non ha li fatti perdere d’animo, ma indotti a inventare, progettare, realizzare. Cogliere sempre le opportunità, che si nascondono sempre dietro a qualsiasi circostanza. E’ l’approccio vincente. Da pessimista a ottimista.

Gli esercizi di Coaching

Come di consueto, vi invito a prendere carta e penna e a fare un esercizio di Coaching. Fate un elenco di tutte quelle circostanze nelle quali da un episodio negativo si è prodotta una circostanza positiva. Provo a darvi qualche suggerimento:

  • la fine di una relazione sentimentale
  • la perdita del posto del lavoro
  • un’idea di business che non ha funzionato

Sono semplici esempi di situazioni, che al principio ci hanno sicuramente gettati nello sconforto, ma che con l’andare del tempo si sono trasformati in una nuova condizione di vita, che ci ha regalato in seguito gioie e soddisfazione. Io dal canto mio, se non avessi chiuso un rapporto di lavoro, non avrei studiato per diventare Coach e non avrei mai scoperto che questa sarebbe stata la professione che mi ha dato e mi sta dando tante soddisfazioni. E voi, cosa vi ha portato a cambiare la vostra vita, trasformando un fatto negativo in positivo ? Se volete condividere con me la vostra esperienza ne sarei davvero molto felice.

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Come abbandonare il controllo

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“Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non esercitiamo nessun controllo nell’istante in cui la biologia esprime la sua rivolta” : a dirlo è il filosofo Umberto Galimberti. La pandemia ci ha resi vulnerabili da tutti i punti di vista. Non solo a livello fisiologico, ma anche nelle nostre modalità di espressione, nelle nostre abitudini e nei nostri processi mentali. Abbiamo , però, anche capito che non possiamo esercitare alcun controllo su niente e nessuno. Forse. Anzi speriamo. Perché il Covid 19 ci ha messi di fronte a tutta la nostra fragilità di essere umani, ma ci ha anche insegnato tanto. Come non avere il potere di controllo sulla nostra vita, sui nostri progetti. E’ una frustrazione immensa. Eppure, se riusciamo a cogliere degli insegnamenti anche da un virus così micidiale, significa che siamo capaci di crescere e cogliere gli aspetti positivi da qualsiasi circostanza. Anche la più odiosa.

Perchè ci piace il controllo

Essere sempre al top, non sbagliare mai. E’ questo che ci è stato insegnato. Essere sempre bravi, non commettere mai errori. Ma è davvero terribile sbagliare? Il mito del perfezionismo ci è stato insegnata in giovane età. Soprattutto se abbiamo avuto dei genitori normativi. Regole e sempre regole. “Devi fare tutti i compiti, altrimenti non puoi giocare” ” Mangia tutto altrimenti non puoi vedere la televisione”. Quanti di noi si sono sentiti ripetere queste frasi da bambini? Molti sono cresciuti identificandosi perfettamente nella teoria meccanicistica del causa-effetto. Ad ogni azione consegue una reazione. Soprattutto una punizione se il compito non viene svolto bene. Ma bene per chi? Per chi esercita il controllo, ovviamente. Il controllo viene comunque esercitato anche dal genitore affettivo, per dirla con Eric Berne, padre dell’analisi transazionale. Al desiderio di soffocare e conseguente controllare non si sottrae anche il genitore apparentemente più permissivo. Perché il più delle volte si occupa degli altri in maniera intrusiva, anche senza che ve ne è bisogno e soprattutto senza che venga richiesto. E’ un atteggiamento che soffoca ” Io so quello di cui tu hai bisogno” è il pensiero, un chiaro modo per entrare nella vita degli altri. Controllandoli.

La paura degli imprevisti

La mania di esercitare il controllo va spesso di pari passo con il timore dell’imprevisto. Controllo così mi preparo per affrontare l’ignoto. Si soppesano tutti i dettagli, non si lascia – o si cerca di farlo- nulla al caso. E’ spesso un modo per tenere a freno l ‘ansia. Mi preparo già adesso per affrontare l’imprevisto. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Non abbiamo imparato la lezione? Chi avrebbe mai pensato che un giorno non saremmo potuti uscire di casa, avremmo lavorato in smart working, non avremmo potuto abbracciare – n’è vedere- i nostri cari? Neanche il più attento futurologo. Forse solo uno scrittore, come è stato con David Quammen con il suo romanzo “Spillover“. Ma si sa che gli artisti hanno dalla loro la fantasia, che fa loro preconizzare scenari che sembrano irrealizzabili.

L’insicurezza e la mancanza di autostima

Talvolta la causa del bisogno di esercitare un forte controllo non solo su stessi, ma anche sugli altri può essere causata da una profonda insicurezza nelle proprie capacità e una bassa dose di autostima. Ancora una volta il timore di sbagliare getta nel più totale sconforto. Ma proviamo a porci questa domanda” Cosa succede se sbagliamo?” Ovviamente non stiamo parlando dei super scienziati che hanno organizzato e supervisionato l’ammartaggio – come ho imparato che si dice- di Perseverance. Lì il controllo è sacrosanto e guai se non vi fosse. Stiamo, invece, parlando delle incombenze di tutti i giorni. Semplici attività che tutti noi compiamo quotidianamente. Cosa significa in questo caso commettere un errore? Nulla. Aggiungiamo anche che bisogna distinguere l’errante dall’errore, come qualcuno ben più autorevole di noi ha detto. Il fatto di commettere un errore, uno sbaglio non si ripercuote sull’autorevolezza della persona. Siamo umani. L’errore è dentro l’angolo. Perdoniamoci, ma soprattutto lasciamo andare “Tutto quello che non riesci a controllare, ti sta insegnando a lasciar andare” è il pensiero di Jason Kiddart. Niente di più vero.

Controllare le proprie emozioni

Sicuramente è di fondamentale importanza capire che controllare gli altri non è il modo migliore per stare meglio: cercare di dominare chi abbiamo intorno non è la soluzione. Per questo sarebbe consigliabile riuscire ad imparare a controllare noi stessi, d’altronde il problema è dentro di noi.

Inoltre, è importante capire che non possiamo controllare il nostro futuro: possiamo e dobbiamo concentrarci solo sul nostro presente, tenendo conto del fatto che non tutto può essere tenuto sotto controllo e forse questa è una delle poche certezze che abbiamo. Per questo è importante che lavoriamo su noi stessi e sul nostro mondo emotivo. E’ necessario far ricorso alla nostra intelligenza emotiva che ci insegna a conoscere, comprendere e gestire le nostre emozioni.

Il dialogo tra il chi controlla e chi no

Come possiamo uscire dalla gabbia del controllo in cui noi stessi ci siamo rinchiusi? Provate a fare questo esercizio: far dialogare tra loro il vostro Io controllante e il vostro Io che sa lasciar andare. Mettete per scritto un ipotetico dialogo. Aprite un documento word o se preferito prendete carta e penna. Impostate un timer per 5 minuti e iniziate a scrivere. Fate fare un’affermazione all’io censore a cui l’io permissivo può ribattere. E’ importante che il dialogo sia scritto perché vi aiuta a visualizzare il vostro modo di pensare e ragionare. Perché il vostro Io che esercita il controllo sia più distante da voi, dategli un nome diverso dal vostro. Vedrete che sarà un modo per allontanarlo da voi e toglierli potere. L’ultima affermazione deve essere del vostro io che sa come non esercitare il controllo. Date un nome al file e salvatelo. Riprendetelo in mano tutte le volte che sentite dentro di voi il desiderio irrefrenabile di controllare gli altri e le diverse situazioni. Cosa direbbe il vostro io, che sa che non si può esercitare il controllo se non : sulle vostre parole, sui vostri pensieri, sulle vostre emozioni, sulle vostre azioni, ecc ? Chiedeteglielo, è lui il saggio. Tutte le risposte sono già dentro di voi.

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