L’Intelligenza emotiva ci migliora la vita

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Avete mai pensato a come vivremmo bene se tutti fossimo dotati di un elevato grado di intelligenza emotiva? Ci capiremmo meglio, ci rispetteremmo di più, non avremmo conflitti. Perché l’intelligenza emotiva eleva la nostra empatia, la nostra capacità di gestire le emozioni. E’ infatti il punto di congiunzione fra l’intelligenza, quella misurata in QI ( quoziente intellettivo) e le emozioni.

A trattarla per la prima volta sono stati nel 1990 i professori Peter Salovey e John D.Mayer che, in un articolo,  “Emotional Intelligence” definiscono l’intelligenza emotiva come “La capacità di controllare i sentimenti e le emozioni proprie e i ed altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni”. Poi la divulgazione del concetto è stata possibile grazie a Daniel Goleman che, con il suo libro pubblicato nel 1995, “L’intelligenza emotiva” ha permesso il diffondersi di questa nuova competenza.

Le caratteristiche fondamentali dell’IE

Io sono affascinata da sempre dall’argomento. Sarà il mio interesse per le emozioni, per la capacità di saperle esprimere, ma dell’intelligenza emotiva mi sono sempre interessata, ho studiato, approfondito. Da ultimo ho seguito anche un Corso per conseguire l’Emotional Intelligence Pratictioner Certification e il mio interesse è continuato a crescere. Vediamo di spiegare le ragioni di questa mia fiducia nel magico potere dell’intelligenza emotiva. Secondo Daniel Goleman, le caratteristiche fondamentali sono 5:

  1. Consapevolezza
  2. Autocontrollo o padronanza di sé
  3. Motivazione
  4. Empatia
  5. Abilita sociale

La consapevolezza

E’ la capacità di riconoscere, capire e gestire gli stati d’animo, gli impulsi. E’ la chiave di tutto : capire chi siamo , cosa desideriamo, i nostri bisogni, qual è il nostro scopo, purpose, come dicono gli anglosassoni. Per poter giungere alla consapevolezza occorre fare un’autovalutazione per poterci conoscere meglio e capire le nostre priorità. La consapevolezza ci porta ad essere presenti e indirizzare le nostre azioni verso quello che desideriamo realizzare. In questo modo non veniamo sopraffatti dalle emozioni, al contrario siamo in grado di riconoscerle e attivarle a seconda della necessità. Per un’analisi della nostra consapevolezza sugli stati emotivi, può essere utile rispondere al questionario, che trovate qui sotto , che avevo anche proposto nell’articolo sulle gestione delle emozioni. Un altro esercizio utili per accrescere la consapevolezza è fare una lista delle emozioni e degli stati d’animo che proviamo durante la giornata. E’ utile per capire quali sono le emozioni positive e quelle negative. Proviamo a fare questo esercizio per una settimana, a fine giornata, prima di andare a letto. E’ una sorta di termometro emotivo, che ci rivelerà molto di noi.

Autocontrollo o padronanza di sé

Significa saper reindirizzare le emozioni prima di passare all’azione. Proviamo, ad esempio, questo esercizio. Pensiamo di avere a disposizione un pulsante, un pulsante rosso, come spesso si vedono nei telequiz. Tutte le volte che ci sentiamo sopraffatti da un’emozione, pensiamo mentalmente di schiacciarlo e metterlo in pausa. Come ci sentiamo? E’ importante visualizzarlo, perché la nostra mente percepisce un impulso che le comunica di cambiare atteggiamento. E’ uno stop che arriva e ci distoglie dall’emozione che stiamo provando. Per acquisire maggiore padronanza di sé, studi scientifici hanno individuati che esistono dei cosiddetti “cancelli mentali”. Il cervello infatti elabora un sistema di cancelli : quando se si sta provando un’emozione, viene chiuso. Abbiamo quindi la possibilità di disinnescare l’emozione negativa, aprendo la porta ad una positiva. Un altro strumento per controllare la propria emozione è anche quello di innescare un’azione fisica: respirare profondamente ad esempio, o camminare, fare una passeggiata. Quante volte ci è capitato di sentirci stressati, arrabbiati e uscire di casa per fare un giro? Come è stato il nostro stato d’animo al rientro? Non abbiamo provato un immediato beneficio? Utilizziamo questo semplice atto. Semplice, ma molto efficace.

Motivazione

E’ la comprensione di quello che ci spinge all’azione. E’ il motore che ci induce a metterci in gioco e fare sempre meglio. E’ anche la spinta all’autorealizzazione, l’impulso a migliorarsi. In ambito professionale le persone con questa competenza sono persone orientate al risultato, con uno slancio a raggiungere i propri obiettivi, provano a migliorare sempre le proprie prestazioni. Goleman parla di neurologia della motivazione, e attribuisce all’amigdala, ( una particolare regione pari del cervello, sede di svariati nuclei nervosi, che appartiene al lobo temporale e prende parte al cosiddetto sistema limbico). il potere di guidarci verso ciò che per noi conta di più .L’amigdala è la componente di una “porta neuronale” attraverso tutto ciò che ci interessa, tutto ciò che serve a motivarci, entra e viene pesato in base al suo valore come incentivo.

L’empatia

L’empatia è l’abilita che ci consente di entrare in contatto con gli altri, che ce li fa comprendere. E’ la capacità di sentirsi connessi, non ragionare in termini egoistici , ma in termini collettivi. E’ il passaggio dall’io al noi. E’ l’abilità che ci farebbe vivere in un mondo in cui il bene individuale passa anche attraverso il bene di coloro che ci circondano. Non è il mondo dell’utopia, ma il mondo della realtà nella quale c’è spazio per tutti e tutti, insieme, possiamo sostenerci per vivere in maniera armoniosa. Le persone dotate di empatia sanno ben integrarsi, sul luogo di lavoro creano un ambiente di collaborazione e di fiducia. Daniel Goleman nel suo best seller Intelligenza Emotiva sostiene che l’empatia si basa sull’autoconsapevolezza: quanto più siamo aperti alle emozioni tanto più abili saremo nel leggere i sentimenti altrui. Un mondo di emozioni. Positive, ovviamente.

L’abilità sociale

L’empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri ha come risultato la possibilità di sapere instaurare buone relazioni. E’ l’altra fondamentale abilità propria dell’intelligenza emotiva. Cogliere le emozioni altrui è il punto di partenza per questa intelligenza sociale. E’ la capacità di cogliere le correnti emotive che si stabiliscono fra le persone, potenziando quelle positive e cercando di disinnescare quelle negative. Essere dotati di un elevato quoziente emotivo significa sapersi rapportare con gentilezza e altruismo. E qui torna la domanda inziale: che mondo sarebbe se fossimo tutti dotati di intelligenza emotiva? Un mondo di reciproca comprensione e cooperazione. Impegnamoci quindi a sviluppare la nostra intelligenza emotiva. Dipende solo da noi.

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Mi regalo la serenità

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E se il regalo fosse la serenità? Sì, proprio la serenità, di cui tutti abbiamo tanto bisogno. Perché l’anno che si è appena concluso, il 2020, ci ha fatto vivere con tanti sentimenti, emozioni, ma forse la serenità non è stata fra quelli. Eppure, se non siamo stati colpiti nella salute, fortunatamente, qualche motivo per vivere qualche istante di serenità lo abbiamo avuto. Il 2020 è stato un’orribile annata, lo sappiamo, ma qualcosa ci ha insegnato. Ci ha fatto riscoprire il valore degli affetti, delle relazioni, del tempo a disposizione per leggere, approfondire, studiare.

Un anno di crescita

Io, se devo essere sincera, al netto di tutti i lavori che purtroppo non si sono potuti realizzare, ho avuto tempo per poter investire sulla mia formazione, frequentando molti corsi online, che mi hanno permesso di aggiornarmi e acquisire nuove competenze. Ho potuto – e per questo sono eternamente grata alla mia amica Enza di Parry & Associati– aprire questo blog, un sogno che coltivavo da anni e che solo il maggior tempo a disposizione, la disponibilità d’animo e mentale mi ha permesso di portare a compimento. Ho potuto così investire sulla mia brand identity, valore fondamentale per chi vuole comunicare, soprattutto nel mio settore, quello del Coaching.

Fermarsi per andare avanti

Perché, tra le cose che ho imparato, vi è che occorre fermarsi per poter riflettere e interrogarsi se vogliamo crescere, evolverci e migliorare. Correre e rincorrere mille impegni non ci porta da nessuna parte. Bisogna sapersi fermare e sapersi ascoltare. E’ uno degli insegnamenti che questa pandemia ci ha dato. Che correre a perdifiato non ci porta da nessuna parte. Anzi ci porta a sbattere. La lentezza e i ritmi più pacati sono stati un altro insegnamento di questa pandemia. Non aver paura di stare tranquilli a pensare, riflettere e meditare. Che l’inazione non è uno stato per il quale dobbiamo provare sensi di colpa. Fermarsi, respirare. Non essere continuamente in apnea. Sentirsi sempre in affanno e in ritardo su tutto. Se un’altra importante lezione la pandemia ci ha dato, è quella che tutto è rimandabile. Non dobbiamo scapicollarci e riempirci di impegni per colmare i vuoti che proviamo quando non abbiamo l’agenda fitta di impegni. E’ stata per tanti anni la malattia dei primi anni del Ventunesimo secolo. Il terrore di non fare, correre, agire. Se non eravamo frastornati da appuntamenti, riunioni ci sentivamo persi. Il tempo libero ci ha sempre fatto paura, non siamo stati abituati a stare in silenzio con noi stessi. Noi stessi siamo l’altra grande scoperta del 2020. Quanto ci conoscevamo? Quanto ci permettevamo di stare da soli con noi stessi?

Partire da noi stessi

La pandemia ci ha messo di fronte a nuove situazioni, eventi mai sperimentati prima. E come abbiamo reagito? Abbiamo provato a trovare soluzioni nuove per affrontare situazioni inaspettate. Il bel docufilm di Gabriele Salvatores “Fuori era Primavera” ci ha ben descritto i comportamenti e la capacità di adattamento, che ciascuno di noi ha messo in campo per affrontare un nemico nuovo e per certi aspetti imbattibile, specie all’inizio. Ma l’essere umano ha una grande capacità di adattamento e ha saputo ricorrere a mezzi e strumenti nuovi per affrontare la nuova realtà. Quindi è tutto da buttare questo benedetto 2020? Spesso impariamo più da coloro che ci mettono alla prova, facendoci piangere, soffrire. Sono loro i veri maestri. E il Covid 19 per certi aspetti è stato un grande maestro. Ci ha fatto scoprire chi siamo veramente e di che cosa siamo capaci. Ci ha fatto scoprire tutti resilienti. E prima neanche lo sapevamo.

Le domande potenti

Cosa ci ha dunque insegnato la pandemia? Proviamo a rispondere alle domande che trovate sotto il link. Ci aiuteranno a capire un po’ di più di noi stessi. Ci aiuteranno a comprendere che nell’anno appena trascorso siamo cambiati. Siamo cresciuti. O semplicemente abbiamo imparato a conoscerci meglio.

Come affrontare il futuro

Con quanto abbiamo appreso in questi mesi, che sono sembrati decenni, come ci stiamo preparando ad affrontare il futuro? Abbiamo gli strumenti per poter affrontare con più serenità i giorni che ci attendono? Proviamo a fare un altro esercizio di Coaching. Prendiamo un foglio e dividiamolo in due colonne. Su un lato, in alto scriviamo “Vecchio me”, sulla colonna accanto “Nuovo me”. Cosa è cambiato? Cosa farò di più? Cosa farò di meno? Cosa farò in maniera diversa? Come sono cresciuto? Cosa sono disposto a lasciar andare per affrontare il nuovo anno? Cosa mi serve per amarmi di più? Sono risposte fondamentali per affrontare con serenità il 2021.

Un percorso utile e necessario per poter affrontare con maggiore consapevolezza il nuovo anno che ci attende. Un percorso che ci aiuta a capire quali risorse abbiamo al nostro interno per poter affrontare le nuove situazioni che ci attendono. Perchè dentro di noi ci sono tutte le risposte.

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Felicità: istruzioni per l’uso

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La parola felicità può essere considerata fuori luogo in questi giorni. Eppure, in questi ultimi mesi, tempi in cui quasi abbiamo quasi paura a pronunciarla, causa la pandemia, mi sono capitati fra le mani ben 3 libri che riportano la parola felicità nel titolo: “Il permesso di essere felici”, la recente pubblicazione della brava Lucia Giovannini, il “Il permesso di essere felice” di Meik Wiking, direttore dell’Happiness Research Institute di Copenaghen e il già citato ” La trappola della felicità” di Russ Harris.

Il recente workshop

Bene, forse sollecitata da queste letture e soprattutto alla ricerca del significato della parola felicità, specie in questi giorni che di felici hanno ben poco, abbiamo deciso di dedicare all’argomento il nostro ultimo workshop di ArtCoaching: “Coltiviamo il nostro giardino della felicità”. E’ stata dunque l’occasione per una riflessione e una ricerca sulle fonti della felicità, in una chiave esistenziale. La frase che racchiude la mia idea di felicità l’ha sintetizzata Gandhi ” La felicità è quando ciò che pensi, ciò che dici e ciò che fai sono in armonia”. La pura consapevolezza. La pura presenza. La coerenza, l’autenticità. Perfezione e massima chiarezza. Un concetto universale, che prescinde dalle contingenze del momento.

I paesi più felici al mondo

Prima di esaminare il percorso che conduce a questa crescita di consapevolezza, è interessante fare un piccolo giro intorno al mondo e vedere cosa ci dicono le ricerche sulla felicità. La fonte è l’Happiness Research Institute, che stila una classifica triennale dei paesi più felici al mondo. Il dato da cui siamo partiti mi ha colpito. Sapete quante sono le persone al mondo che dicono di essere felici? il 3%. Una percentuale bassissima, se consideriamo anche il numero della popolazione mondiale: quasi 8 miliardi. La percentuale ci dice che circa 24 milioni di persone al mondo sono felici. Il World Happiness Report, nel triennio 2017-2019, stila una classifica di 153 paesi per misurarne la felicità. Ai primi posti gli scontati paesi scandinavi: Finlandia, Danimarca, Svizzera, Islanda, Norvegia, seguiti da Svezia, Nuova Zelanda, Austria. E l’Italia? Noi siamo al 30° posto. Mentre all’ultimo, il 153 posto troviamo l’Afghanistan, preceduto dal Sud Sudan.

La libertà di scegliere

Il Report ci dice anche che ” Nessuno può dirsi felice se non ha la sensazione di scegliere il corso della propria vita” . Quindi è la libertà ad indicare il grado di felicità. Liberta di espressione, di scegliere la strada da percorrere. E utilizzando la libertà come metro di giudizio non possiamo che capire le ragioni per le quali troviamo i paesi sopracitati ai primi posti. Lo conferma anche lo Human Freedom Index del 2017 che vede la Svizzera al primo posto, seguita da Nuova Zelanda, Irlanda.

Le 10 chiavi della felicità

Questo è quanto viene analizzato a livello istituzionale. Ma ad un livello più personale e individuale? Qui sotto troviamo una classifica che possiamo definire i 10 passi verso la felicità. Sono frutto di una riflessione personale, che si incrocia con suggerimenti da parte di Action for Happiness, organizzazione che conta oltre 115 mila persone in 174 paesi.

  1. Conosci te stesso – γνῶϑι σεαυτόν è scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, luogo da cui emana ancora oggi tanta energia. E conoscere se stessi è la base per poter vivere una vita serena, autentica, consapevole.
  2. Provare gratitudine- Il tema della gratitudine è un tema al quale faccio ricorso sempre, perché mi è molto caro. Significa essere consapevoli di tutto ciò che si ha, di ciò che la vita ci regala ogni giorno. Un atteggiamento grato si accompagna ad un atteggiamento volto a vedere quello che abbiamo senza soffermarsi sulle mancanze.
  3. Avere buone relazioni- Coltivare le buone amicizie, buoni rapporti con i famigliari improntando sempre tutte le relazioni alla comprensione, all’accoglienza, all’inclusione, all’aiuto verso chi ha bisogno, alla presenza.
  4. Avere un obiettivo- Quanta soddisfazione proviamo quando raggiungiamo i nostri traguardi? Quando, dopo aver messo a fuoco ciò che vogliamo raggiungere, esaminiamo le risorse a nostra disposizione, realizziamo il nostro piano d’azione e siamo in grado, infine, di raggiungere i nostro obiettivi non ci sentiamo felici? Da Coach provo una grande soddisfazione quando vedo i miei Coachee felici e soddisfatti per aver ottenuto la gratificazione di veder concretizzato ciò che desideravano da tempo. Qui la felicità è doppia: mia e dei miei Coachee.
  5. Imparare cose nuove- Non si finisce mai di imparare e l’apprendimento è uno stimolo continuo ad evolversi, crescere, cercare sempre più risposte, che producono nuove domande. E’ la gioia della conoscenza, una fonte che non esaurisce mai.
  6. Essere gentili- Alla gentilezza abbiamo dedicato numerosi articoli. Essere gentili fa bene. Si produce più ossitocina, uno degli ormoni del benessere. L’Università della British Columbia ha condotto uno studio su un gruppo di persone ansiose. Dopo che queste hanno compiuto atti di gentilezza per un mese, gli stati d’animo d’ansia sono diminuiti e sono aumentati gli stati d’animo positivi.
  7. Accettarsi – Accettare se stessi per come si è, rispettarsi, amarsi è un altro importante elemento per poter vivere una vita felice. Stare bene con sè stessi significa anche avere relazioni soddisfacenti con gli altri. Non dimentichiamolo. Se non siamo noi i primi a volerci bene, come possiamo pretendere che lo facciano anche gli altri?
  8. Avere un atteggiamento positivo – Cerchiamo di vedere il mondo con occhi positivi, esaltando ancora una volta quello che di bello esiste nella nostra vita. Un atteggiamento positivo è anche un atteggiamento di grande resilienza, che ci aiuta a risollevarci velocemente dalle situazioni difficili.
  9. Tempo libero – Il tempo è una risorsa sempre più preziosa. Aver tempo per sé stessi, per dedicarsi alle proprie passioni. Tempo da dedicare alle persone care. Fermarsi a riflettere, dedicarsi all’ozio creativo, come dice il sociologo De Masi.
  10. Dare un significato alla nostra vita – Avere uno scopo, un fine verso il quale dirigersi. Capire qual è il nostro posto del mondo. Questa è la felicità. ” Perché lo scopo della nostra vita è essere felici” come dice Sua Santità il Dalai Lama.
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Autostima al femminile

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La settimana che sta per concludersi ha avuto al centro di molti dibattiti l’universo femminile. Il 25 Novembre è stata la Giornata Mondiale contro la Violenza delle Donne, molti dibattiti e incontri quindi sono ruotati intorno a questo triste tema. Ci sono state poi tante polemiche su trasmissioni Tv, davvero discutibili, in cui si è di nuovo trattato il tema con stereotipi e scelte di dubbio gusto. Tra i dibattiti interessanti sul mondo femminile invece c’è da segnalare quello dedicato alla “Ricostruzione post-Covid” organizzato dall’associazione 100Donne contro gli stereotipi, da Creis, associazione che opera per fini di solidarietà sociale e infine da Giulia associazione di Giornaliste.

Donne equilibriste

Ma c’è ancora bisogna di parlare di donne, di universo femminile? Evidentemente sì. All’alba del 2020 purtroppo il tema diventa di scottante attualità. La pandemia ha infatti riportato alla ribalta il tema delle diseguaglianze e riportato l’attenzione sull’odioso argomento del gender gap. E questo , se non si interviene con riforme strutturali, si ripercuoterà pesantemente nel post crisi. Nel dopo pandemia, si è detto nell’intervento di Serenella Molendini ” Il lavoro e le donne tra diseguaglianza strutturale e pandemia” si accentueranno le differenze di genere. I costi della crisi sono a carico dei precari, dei giovani e delle donne. Per non parlare del fatto che le donne spesso sono state e lo sono tuttora, durante lo smart working, delle vere e proprie equilibriste nel conciliare attività professionale e impegni famigliari. L’Italia, si sa, è negli ultimi posti nelle classifiche delle diseguaglianze tra i generi. Su 153 Paesi, il nostro paese si colloca al 76° posto.

Gender Quality Index

Nel Gender Quality Index del 2020, che misura la situazione delle diseguaglianze di genere nell’Unione Europea, l’Italia si colloca al 14° posto con 63,5 punti su 100. Il suo punteggio è di 4,4 punti più basso della media europea. Le diseguaglianze di genere sono più pronunciate nell’ambito dell’occupazione dei posti di potere (48,8), nella formazione (61,)9) e nell’ambito del lavoro ( 63,3). E il divario, purtroppo, si amplia ancora di più tra le regioni del nostro paese, dove ai primi posti tra le virtuose, troviamo la provincia di Bolzano, le altre regioni del Nord Est e negli ultimi posti la Sicilia.

Le soft skills femminili

Questa la fotografia della realtà femminile. Ma ci sono strumenti per poter superare questa situazione che appare così avvilente? Per molti aspetti è una questione culturale. Occorre però un cambio di paradigma. Come si dice, da ogni crisi nasce un’opportunità, bisogna quindi prendere consapevolezza della situazione e rafforzare, da un lato, le competenze, dall’altro lavorare sull’autostima. Dalla presa di consapevolezza delle proprie capacità, risorse e del proprio valore. Dei punti di forza femminili. L’abbiamo già detto: leadership virtuose nella gestione della pandemia sono state quelle incarnate da leader donne. Quelle che hanno messo al centro la cura. Quella della cura è sicuramente una qualità molto femminile. Per cura intendiamo attenzione nei confronti degli altri. Ma anche dell’ambiente, del mondo che ci circonda. Così come le doti di resilienza, di empatia, di problem solving. Alla lista vanno aggiunte la capacità di gestione dello stress, la predisposizione all’organizzazione, la capacità di essere multitasking.

Lavorare sull’autostima

Partiamo quindi da una presa di coscienza del nostro valore, ai nostri successi, dai traguardi che abbiamo raggiunto. Prendiamo carta e penna e facciamo una lista: una lista di tutte le nostre qualità, delle nostre risorse interne. Prendiamo coscienza di quanto valiamo e di quanto siamo riuscite ad ottenere grazie alla nostra tenacia, perseveranza. Non lasciamoci condizionare dall’esterno o da chi tenta di giudicarci per sminuirci. Ascoltiamo la nostra voce interiore che sa dirci quanto è grande il nostro valore. Rispettiamoci, vogliamoci bene. E’ il primo passo fondamentale perché anche gli altri ci possano amare e rispettare. Perchè come dice Michelle Obama “Non c’è limite a ciò che noi donne possiamo realizzare.”

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Un nuovo stile : la leadership gentile

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Se ne sta parlando da qualche tempo: è nato un nuovo stile di manageriale, la leadership gentile. Quale giorno migliore per affrontare il tema se non oggi, 13 Novembre, Giornata Mondiale della Gentilezza? A dir la verità il tema è stato dibattuto anche durante tutta la settimana, e il trend sembra farsi strada. Lo vediamo anche nella gestione della pandemia a livello di leadership politica. Tutti quei paesi in cui lo stile non è stato “gentile”, ma autoritario, per non dire machista, la situazione relativa alla diffusione del virus ha avuto dei risultati a dir poco disastrosi. In quei paesi nei quali si è tentato un approccio più umano, più sensibile, attento – nella maggior parte di casi paesi guidati da leader donne– sembra che i danni siano stati un po’ più lievi.

Un approccio più empatico

Possiamo affermare quindi che un approccio femminile sia sinonimo di leadership gentile? Lo sostiene Daniel Lumera, scrittore, esperto di benessere, della qualità della vita e nella pratica della meditazione. In un suo recente webinar dal titolo appunto “La leadership gentile” parla di leadership femminile per descrivere uno stile manageriale improntato all’ascolto, ad una visione di benessere collettivo, di un approccio proprio di chi ha cuore anche lo star bene degli altri. La leadership femminile non deve necessariamente essere incarnata da una donna. Non si tratta di una leadership di genere. Lumera cita Mandela, Gandhi come esponenti di un stile di leadership femminile. Aggiungerei, per stare ai nostri giorni, Joe Biden, il nuovo presidente americano, che nel suo primo approccio alla nazione ha usato toni di condivisione, accoglienza, desiderio di unire piuttosto che dividere, come aveva fatto il suo predecessore. I tratti tipici di una leadership gentile sono quelli improntati non su uno stile impositivo, aggressivo, individualista, ma sull’inclusione, sull’interconnessione e accoglienza. La leadership gentile è la capacità di modulare il proprio modo di fare sulla base dell’ambiente che ci circonda. Un atteggiamento improntato all’empatia.

Intelligenza emotiva

L’elemento innovativo della leadership gentile si basa sulla consapevolezza. Consapevolezza di sé stessi, del contatto con sé stessi, della capacità di riconoscere le proprie emozioni. Una leadership che si basa essenzialmente sull’intelligenza emotiva, che ci consente di essere consapevoli di noi stessi, delle nostre emozioni, di capire quando si presentano e come controllarle. In una parola essere presenti. Fino a qualche tempo fa il modello di leadership dominante era orientato ad un individualismo molto accentuato, con un grande focus sulla performance, sulla competizione. Una leadership egoica. L’esatto contrario di una leadership gentile che si basa sul “Noi”, sul senso di condivisione e sull’idea di gruppo. Una visione che vede il bene comune come fine ultimo, con un profondo senso di interconnessione. Concetto che si è sviluppato ancora di più in questo periodo storico, nella quale la pandemia, ci ha fatto capire che è vincente un approccio collettivo, dove il bene di ognuno è legato al bene di tutti. Un insegnamento che occorre sapere cogliere e mettere a frutto.

La gentilezza al lavoro

In occasione della Giornata della Gentilezza, la rivista Business People ha pubblicato un’indagine effettuata dalla piattaforma per la ricerca del lavoro InfoJobs per capire cosa sia la gentilezza sul posto di lavoro e se e come sia cambiata ai tempi del Covid19. Dai quasi 2000 intervistati emerge che nel mondo del lavoro ( 64,3%) c’è sempre più spazio per la gentilezza. Il 65% degli intervistati la considera addirittura un punto di forza mentre per il 20% è un elemento imprescindibile. Un’ulteriore conferma dell’affermazione di una leadership gentile. La ricerca ha anche stilato una classifica con le caratteristiche principali di un leader gentile:

1- Spirito di squadra

2. Una guida che ispira e non impone idee e metodi

3. Premia i risultati, indaga gli insuccessi senza colpevolizzare

4 Sa ascoltare e gratificare

Gentili anche se in smart working

In un contesto difficile come quello che stiamo vivendo, dove lo smart working ha imposto distanze fisiche, il valore della gentilezza assume più rilevanza. Chi ha potuto lavorare con un leader gentile, ha potuto contare su un grado di fiducia, comprensione, che acquisiscono ancora più rilevanza in un periodo complesso nel quale dover conciliare esigenze professionali e personali. Per la maggior parte degli intervistati, infatti, la gentilezza rimane importante nel luogo di lavoro perché trovare serenità ed empatia in momenti difficili può essere di grande conforto ( 27,1%) mentre per il 33% è importante mantenere un contatto umano anche se distanziati fisicamente.

Le aspettative per il futuro

Il 36% degli intervistati sostiene che la gentilezza sarà un valore sempre più diffuso e il riconoscimento personale un dato che dovrà essere più preso in considerazione. In un futuro prossimo la valorizzazione dell’intelligenza emotiva diventerà sempre di più elemento di valutazione per i leader di domani. Il futuro è dei leader gentili.

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Pillole di Coaching per affrontare il disagio

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Siamo di nuovo in confinamento, la parola lockdown non riusciamo più a pronunciarla. Usiamo i colori per definire la situazione : zona rossa, arancione, gialla. Ma neanche così la situazione ci sembra meno pesante. Il fatto è che siamo stanchi, delusi, amareggiati, se non già depressi. Vediamo allora se qualche pillola di Coaching, qualche buona pratica può aiutarci a sollevarci da questa situazione che sembra non avere mai fine e che ci provoca disagio.

Un approccio positivo

L’aggettivo positivo è bandito dal nostro vocabolario, lo sappiamo. Non ne possiamo più di sentirlo ripetere. Ma cercare di vedere quello che di buono – poco, è vero- questa nuova situazione ci offre, è un buon punto di partenza. Proviamo a fare questo esercizio di Coaching: prendiamo il solito foglio e la solita penna e facciamo una lista di tutto quello che siamo riusciti a realizzare quest’anno, da marzo ad oggi. Qualche suggerimento? Più a tempo a disposizione, che non è poco se esiste una letteratura che invita a riflettere addirittura su “L’arte del tempo”, scritto da Emil Oesch, giornalista e curatore zurighese che, nel suo piacevole libercolo, dà consigli utili su come usufruire del nostro bene più prezioso. Ora che di tempo ne abbiamo tanto a disposizione, sappiamo utilizzarlo? Un consiglio per poter arrivare la sera prima di andare a letto insoddisfatti della nostra giornata, impariamo a fare una pianificazione corretta della nostra giornata, cercando di alternare impegni professionali – visto che siamo quasi tutti in smart working-a momenti per sé.

Coltivare le passioni

Avete mai calcolato quanto tempo perdiamo negli spostamenti per andare in ufficio? Bene, impieghiamo quel tempo ora per fare, ad esempio, una pratica sportiva o corporea. Sono ripetitiva, lo so, ma dedicare una mezz’ora tutti i giorni, magari allo yoga, ci aiuta a essere poi più concentrati e più energetici per affrontare la giornata. Perché non trovare tempo anche per seguire un corso online? E’ vero, la maggior parte di noi, trascorre la maggior parte del tempo incollato al pc e l’idea di passare anche il momento del relax con gli occhi fissi sul monitor può risultare pesante. Ma pensate al risultato che otterrete al termine, se riuscirete a seguire quel corso, che magari rappresenta una passione che coltivavate da tempo. Seguire una passione è un ottimo modo per rinforzare e rafforzare il proprio stato d’animo. E soprattutto la propria autostima, parola di Coach.

Isolamento o solitudine?

Un bellissimo webinar condotto da Daniel Lumera dal tema “Isolamento o solitudine” ha messo bene in luce la differenza tra i due termini. La parola solitudine deriva dal latino “solus”, che significa intero, a sé stante. E’ interessante questo punto di vista, perché dà il senso e forma al concetto di realizzare se stessi. La solitudine è la capacità di stare da soli , stare con se stessi, esseri integri. Chi è in grado di stare da solo, sviluppa quindi la capacità di completamento di sé. Rappresenta un importante punto d’arrivo, perché bastare a sé stessi, significa sviluppare relazioni equilibrate, sane con gli altri. I rapporti sono improntati su uno scambio paritetico, non di dipendenza. Significa non sviluppare relazioni nelle quali dobbiamo trovare nell’altro bisogni non soddisfatti. Il periodo di solitudine rafforza quindi le relazioni.

Condividere ti rende più grande di quello che sei

Può sembrare un controsenso rispetto al concetto appena espresso relativo alla solitudine, ma lo è solo in apparenza. Chi ha sviluppato una presenza, una stabilità interiore ed emotiva, è più in grado di rappresentare un punto di riferimento per gli altri. Per questo è importante sapere condividere, saper intrecciare relazioni improntate allo scambio reciproco. Saper sostenere, essere presenti ci aiuta a sviluppare sentimenti di positività e di benessere, non solo per gli altri, ma anche per noi stessi. Anche a livello fisico, perché gli atteggiamenti di empatia, aiutano a sviluppare l’ossitocina, l’ormone che aiuta a ridurre i livelli di stress, l’ansia, favorendo la lettura delle emozioni altrui, la fiducia, il senso di appartenenza e la socializzazione.

Visualizza il tuo futuro

Concludiamo le nostre pillole di Coaching attraverso un esercizio, che rappresenta un classico nei nostri workshop di Art Coaching: la visual board. E’ un esercizio divertente, creativo, che favorisce la visualizzazione, un’ottima tecnica che ci consente di poter mettere meglio a fuoco i nostri obiettivi futuri. Prendiamo un foglio, giornali, pennarelli e iniziamo a costruire il nostro futuro. Vediamo di mettere a fuoco quelli che sono i nostri desideri e poi costruiamo, stile collage, la nostra visione. Lasciate da parte la mente e lasciate parlare il vostro cuore. Vedrete che realizzerete un vero capolavoro. Fotografatelo e utilizzatelo come salva schermo del vostro cellulare: sarà sempre sotto i vostri occhi e vi permetterà di pensare che la vostra vita può diventare un vero capolavoro.

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Vivere una vita autentica

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Nella mia mission di Coach pubblicata sul mio sito ho scritto: “Aiuto gli altri a vivere una vita autentica”. Ma cosa significa vivere una vita autentica? Significa vivere in connessione con la propria natura più profonda. Connessione è la parola magica. Connessione significa che si è pienamente consapevoli della propria esistenza, del senso che vogliamo dare alla nostra vita E’ un lungo processo, occorre sapersi interrogare, conoscere. Non significa giudicarsi, non è l’io pensante, come lo chiama Russ Harris, nel suo libro “La trappola della felicità“.

L’io osservante

E’ piuttosto attraverso l’io osservante, che avviene la connessione che ci porta a vivere una vita autentica. Il sé osservante è per sua natura non giudicante. Non combatte contro la realtà: vede le cose per quello che sono e non si oppone. Pratica l’accettazione, perché opponiamo resistenza solo quando ci fondiamo con i nostri giudizi secondo i quali le cose sono giuste o sbagliate. Le cose sono come sono. Vivere una vita autentica significa dunque accettare e accettarsi per come siamo, non aver paura di mostrarci nella nostra vera natura. Accettarsi significa anche saperci amare, cercare dentro di noi affetto, stima, considerazione, senza doverlo per forza ricercare all’esterno. Significa trovare il nostro centro dentro di noi.

Le maschere che indossiamo

E’ stato questo l’argomento che abbiamo trattato all’interno del nostro workshop di Art Coaching, dal titolo “Giù la maschera”, nel quale abbiamo affrontato il tema delle maschere che spesso indossiamo. Impariamo ad indossarla fin da piccoli, quando il nostro bisogno primario è quello di essere amati, accettati. Per essere considerati dai nostri genitori indossiamo la maschera del “bravo bambino”. Abbiamo bisogno di ricevere approvazione, quindi il meccanismo che mettiamo in atto è molto semplice. Mi comporto bene, faccio ciò che gli altri si aspettano da me , quindi mi approvano, ergo sono amato. E qui inizia il primo passo per allontanarci da una vita autentica. Poi cresciamo e oltre all’amore e affetto dei nostri genitori, abbiamo bisogno di approvazione e accettazione da parte di altri adulti, dei compagni di scuola. La scuola è un terreno minato per allontanarsi dal nostro io autentico. Sono quello che il gruppo vuole che io sia. Mi ispiro a quello che fanno gli altri per timore di essere allontanato e non amato. E la vita autentica si allontana sempre di più.

Le maschere che ci accompagnano nel corso della vita

Cresciamo e, anche se la maschera del bravo bambino è quella che la maggior parte di noi continua ad indossare, per paura di non essere accettato anche da adulto, o per il desiderio di piacere a tutti, trappola nella quale cadono in molti, cominciamo ad indossarne altre e a collezionarne di nuove. Molte ci servono per proteggerci. Proviamo a far un elenco delle più comuni.

Il duro: è la maschera delle persone più sensibili, di coloro che hanno paura di essere feriti e indossano così una protezione per paura di soffrire. Sono spesso persone emotivamente fragili, che per difendersi attaccano prima di essere attaccate con atteggiamenti spesso aggressivi.

Il salvatore: la sindrome del “Io ti salverò” è piuttosto frequente, soprattutto fra il genere femminile. Si stratta di persone che si circondano spesso di casi disperati. Spesso si comportano così perché è più facile dare aiuto anziché chiederlo. E’ un modo per annullare il proprio bisogno di affetto. Un altro modo per allontanarsi dalla vita autentica.

La vittima : succede sempre tutto a lui o lei. E’ anche questo un modo per attirare l’attenzione. Un grido d’aiuto per poter ottenere affetto e considerazione.

L’indifferente : ha scelto di allontanarsi dalle proprie emozioni e non esternarle mai. Si difende dall’esterno, nascondendosi dietro l’indifferenza.

Il guerriero: indossa la maschera per poter reagire nei confronti delle avversità, sempre in prima linea, non mostra emozioni come la paura e vuole sempre esercitare il controllo .

Il burlone: colui che reagisce ad ogni circostanza mostrando umorismo. E’ la maschera con la quale pensa di essere accettato. Una volta calata la maschera il timore è quello di non essere accettato così com’è.

Essere autentici

Sono maschere che spesso ci accompagnano per tutta la vita. Nel momento in cui ne prendiamo consapevolezza, inizia però il percorso che ci porta a toglierle. Non è detto che non le si debba più indossare. A volte, come abbiamo visto, ci servono per proteggerci. Ma l’importante è essere presenti e consapevoli quando vogliamo indossarle nuovamente. Non devono essere portate così a lungo da adattarsi al nostro volto. Quando capiamo che non abbiamo più bisogno di protezione, ma possiamo mostrarci con tutta la nostra essenza senza timore di essere giudicati non amati, allora sappiamo che ci siamo accettati, amati. E possiamo finalmente vivere una vita autentica.

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Fare gruppo, sempre

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Investire nella creazione di legami veri ed emotivi fra le persone: sono quelli che durano nel tempo e rendono un gruppo, un team veramente forte. Ho sempre creduto nella forza delle relazioni. Ho sempre pensato che da soli non si possono raggiungere risultati ragguardevoli. Occorre sì avere idee chiare, una visione, ma una buona squadra di collaboratori è fondamentale per poter essere vincenti . Avere una gruppo coeso, forte e motivato è la benzina per poter far funzionare il motore che può portare a correre molto lontano.

Spirito di squadra

Mi è capitato recentemente di riflettere sull’importanza di fare squadra. In una mia recente esperienza professionale mi sono trovata a gestire un gruppo creato per raggiungere la realizzazione di un obiettivo. Il risultato è stato molto soddisfacente. Mi sono stati fatti i complimenti per aver raggiunto il risultato, ma non ho avuto esitazione a condividere con il resto del gruppo la gratificazione. Perché ero consapevole che il buon risultato è stato possibile solo grazie ad un lavoro di squadra, di un team coeso. Quali sono stati i fattori che hanno reso possibili questo risultato? Ne ho ravvisati essenzialmente 3.

1. Chiarezza degli obiettivi

Sembra un’ovvietà, ma se all’interno di un team ciascuno ha un obiettivo chiaro, ben definito siamo già a metà dell’opera. Affidare a ciascun elemento del gruppo un compito preciso, misurabile investe , da un lato, la persona della responsabilità e al contempo la consapevolezza di aver chiara la propria missione. Lapalissiano. Ma non sempre è così. Vi è mai capitato di lavorare in un gruppo in cui regna confusione tra i ruoli? Non avere chiaro quello che è il compito affidato, genera frustrazione. E la frustrazione si trasforma in negatività. Un team all’interno del quale anche una sola persona è demotivata, può creare tensione e generare un clima di scontentezza e di rabbia. Al contrario quando tutti i componenti del gruppo sono sereni, concentrati sul loro obiettivo, si percepisce un’armonia e un’atmosfera molto positiva.

2. Saper comunicare bene

Un altro aspetto fondamentale (che costituisce, a parer mio, quasi il 50% dei buoni risultati raggiunti) è rappresentato dalla buona comunicazione che circola fra i componenti del gruppo. Sono sempre stata contraria all’approccio di molti manager ( non posso definirli leader perché non lo sono) del “Divide et impera”. Creare competizione fra i componenti del team per dare quella grinta che aiuta a raggiungere i risultati. Niente di più sbagliato. Non far circolare le comunicazione, non mettere le persone nella condizione di essere alleate fra di loro, crea quella condizione per la quale le persone sentono di doversi difendere, guardarsi le spalle Quanta energia dispersa nel parare i colpi, invece di impiegarla per il raggiungimento dell’obiettivo comune.

3. Lavorare sui punti di forza di ciascuno

Un altro importante punto fermo da tenere in considerazione è che non siamo tutti uguali. Ogni persona ha una sua caratteristica, un suo differente approccio. Un differente punto di forza. E qui entra in gioco l’ascolto. In generale le persone lavorano meglio magnetizzando le proprie virtù piuttosto che concentrandosi sulle proprie mancanze. Come spiega Swami Kriyananda ne “L’arte di guidare gli altri” concentrarsi sulle proprie mancanze, tende a far sì che l’energia venga assorbita da pensieri negativi, come lo scoraggiamento e l’insicurezza. Quando una persona è, invece, incoraggiata a concentrarsi sullo sviluppo dei propri punti di forza, questi le forniranno presto il magnetismo positivo che serve per combattere le proprie debolezze. Far leva quindi sui punti di forza, le risorse interiori di ciascuno aiuta a creare uno spirito costruttivo nel gruppo.

Gli stili relazionali

Ciascuno di noi ha un differente stile relazionale: saperli comprendere permette di creare dei team adeguati all’obiettivo. Se, ad esempio, occorre lavorare su un progetto in tempi rapidi sarà meglio costruire gruppi omogenei fra di loro. Persone che hanno il medesimo approccio e visione. Personalità analitiche, razionali. Se viceversa occorre essere creativi, sviluppare progetti nuovi, utilizzare la tecnica del brain storming , la diversità fra i componenti del team costituirà un punto di forza. Molte attività di team coaching hanno proprio l’obiettivo di individuare e valorizzare gli stili di ciascuno. Attraverso attività di team building creative si possono riconoscere e valorizzare i soggetti più portati a lavorare in gruppo, quelli più individualisti, ad esempio. In contesti nei quali ci si può collegare con la propria sfera emotiva si possono raggiungere risultati davvero molto interessanti per poter gestire al meglio i team, le squadre. Perché fare gruppo è fondamentale. Sempre. Come diceva il nostro amico Coach Bill Campbell: ” Costruite sempre un gruppo sia in ambito lavorativo che nel tempo libero: in qualunque ambito si è più forti se le persone hanno legato fra di loro”. E’ la forza del gruppo.

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La ripresa: come non disperdere le energie

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Settembre è tradizionalmente considerato come l’inizio di un nuovo anno. Coincide con la ripresa : lavorativa, scolastica. Quest’anno, seppur anomalo, non è diverso dagli altri. Anzi. Mai come il mese di settembre 2020 coincide con un vero e proprio inizio. Un inizio pieno di incertezze, incognite. Certamente. Per questo è importante non disperdere il pieno di energia che si è accumulato durante i giorni di vacanza, che ci siamo concessi più o meno tutti. In ogni caso un’interruzione c’è stata. Quindi il concetto di ripresa ha un forte valore, anche se simbolico.

Il ricordo di un’emozione

Si sa che il mese dedicato alle vacanze coincide con buoni stili di vita. Passeggiate all’aria aperta, maggiore tempo a disposizione. Che cosa avete fatto di nuovo durante il vostro stop dalla solita routine? E soprattutto che cosa vi ha fatto stare davvero bene? Pensateci. Provate a fermare come in un fotogramma quella esatta sensazione di pace, serenità che avete provato. Prendetela e riponete idealmente questo momento magico in una scatola virtuale e apritela tutte le volte che vi sentite stanchi, affaticati. Tornare con la mente a quel preciso istante di benessere, all’emozione piacevole che avete provato vi aiuterà a ricaricarvi e rappresenterà una vera e propria boccata di ossigeno e un’iniezione di energia. Con tutta probabilità saranno ricordi legati alla natura: un bel tramonto, un’alba, una mareggiata. Imprimete nella vostra mente quell’immagine e ricorretevi tutte le volte in cui le cose non girano per il verso giusto. Vedrete che, unito ad un respiro profondo, vi sentirete rigenerati e la mente ritornerà al ricordo piacevole che avete provato dal vivo.

Le buone letture

La ripresa coincide con l’affrontare nuove sfide, professionali e personali. Affrontarle con spirito creativo, positivo può aiutarci a trovare soluzioni più rapidamente. Il periodo delle vacanze coincide speso anche con la possibilità di dedicarsi alla lettura. Leggere un buon libro rende il momento del relax ancora più piacevole. Purtroppo durante l’anno spesso non abbiamo la stessa predisposizione ad estraniarci con la lettura. La nostra mente è impegnata ad affrontare tante scadenze, piccoli o grandi contrattempi. Eppure fermarsi, concedersi il tempo di pensare ad altro può servirci per affrontare il momento critico con uno spirito più costruttivo. Spesso una buona lettura ci dà quel quid, ci accende quella lampadina che può illuminarci in un momento buio. Leggere ci accende la creatività. E ci aiuta ad affrontare meglio la ripresa.

Sassolini bianchi e sassolini neri

A proposito di letture illuminanti – è proprio l’aggettivo appropriata trattandosi di un Geshe, un maestro di insegnamenti buddisti- quest’estate ho letto un libro consigliatomi dalla mia amica Nathalie, che ringrazio di cuore. “Il tagliatore di diamanti” il titolo e Geshe Michael Roach l’autore. Il libro contiene tanti spunti, riflessioni, consigli utili per affrontare la nostra quotidianità con spirito positivo, compassionevole e con una forte ispirazione etica. Tra i vari insegnamenti, ho trovato particolarmente interessante una semplice, ma efficace abitudine dei primi buddisti tibetani, noti con il nome di Kadampas. Erano persone semplici, pastori, piccoli contadini. Nella loro semplicità si portavano dietro piccole borse piene di sassolini, metà bianchi, metà neri : quando avevano un pensiero buono , o dicevano qualcosa di molto positivo ad un’altra persona o si comportavano con qualcuno in modo gentile, tiravano fuori un sassolino bianco e lo mettevano nella tasca sinistra. Ogni volta che avevano un pensiero negativo su qualcuno oppure facevano o dicevano qualcosa di poco gentile nei confronti di un’altra persona, tiravano fuori un sassolino nero e lo mettevano nella tasca destra. Alla fine della giornata, appena prima di andare a dormire, tiravano fuori tutti i sassolini dalle tasche e contavano quanti erano i bianchi e quanti i neri. Semplice vero? Ma decisamente utile per avere una consapevolezza sui nostri pensieri. Avere una mente più “bianca” ci fa vivere decisamente meglio. Avere un approccio più aperto, disponibile, gentile ci aiuta a vivere con uno spirito più sereno, positivo. In pace. Ci aiuta ad affrontare la vita con maggiore ottimismo e con uno spirito di grande apertura. Un sentimento che si ripercuote anche sulla nostra salute, vista la profonda correlazione fra mente e corpo. Un approccio utile, costruttivo anche per affrontare la ripresa.

Volgere al positivo

Un altro consiglio utile per poter affrontare al meglio la ripresa è anche quello di volgere tutte i nostri pensieri al positivo. Focalizzarci su ciò che abbiamo, non su ciò che non abbiamo. Allenare la nostra mente a vedere il bello che la vita ci dona. E’ una visione della vita che aiuta a esaltare gli aspetti positivi, non le mancanze. Provate a inserire nel vostro vocabolario solo parole con accezioni positive, non sostantivi che racchiudono in sé mancanze. Provate a bandire parole che da sole evocano sentimenti di tristezza e di negatività. E non dimenticatevi di tenere sempre a portata di mano il vostro taccuino della gratitudine: ogni sera, prima di andare a dormire, segnate 3 cose o persone per cui vi sentite grati. E’ un ottimo modo per affrontare la ripresa. Positiva, ovviamente.

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Abbiamo una grande opportunità: scegliere

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Il libero arbitrio è il concetto filosofico secondo il quale ogni persona ha la facoltà di scegliere gli scopi del proprio agire e pensare. La possibilità di operare una scelta ha origine nella persona stessa e non in forze esterne. E’ un potere immenso. Ma spesso non ce ne rendiamo conto. La possibilità di scegliere è davvero un concetto potente. E’ vero che è anche correlato alla responsabilità. ma questo ne rafforza, se possibile, ancora di più il valore. Siamo noi ad avere la possibilità di scegliere la nostra vita, cambiare, evolverci, crescere.

Durante un corso di al quale avevo partecipato ci avevano chiesto le ragioni per le quali il Coaching si è diffuso dapprima nei paesi anglosassoni e più tardi invece nei paesi mediterranei. La risposta risiedeva proprio nel fatto che il concetto di libero arbitrio fosse più diffuso nei paesi meno permeati dalla cultura cristiana, dove il concetto di libero arbitrio stentava a conciliarci con l’onniscienza e l’onnipotenza divine. E questo è stato per anni un tema dibattuto nella teologia cristiani. Ma noi siamo laici.

Scelgo ergo sum

Prendiamo a prestito il razionalismo cartesiano ( mi scuso in anticipo con Cartesio) per affermare appunto che la possibilità di scegliere è una facoltà dell’essere umano. Quante volte ci è capitato di pensare : ” Vorrei cambiare la mia vita, vorrei cambiare lavoro, ma non posso”? Siamo davvero sicuri che non possiamo? Siamo arbitri del nostro destino e siamo in grado di poter scegliere cosa è meglio per noi, cosa ci fa stare bene. Esaminiamo quali sono le cause che spesso ci impediscono di prendere decisioni e scegliere. Lo sapevate chi è il nemico numero uno? Siamo noi. Sì proprio noi, la nostra vocina interiore che ci impedisce di operare le giuste scelte. Sono le cosiddette convinzioni autolimitanti, i nostri sabotatori interiori che spengono i nostri entusiasmi.

Il nostro critico interiore

A dire la verità non ne esiste uno solo di critico interiore, ce ne sono addirittura 4:

1) Il preoccupato

2) il critico

3) il perfezionista

4) la vittima

Il preoccupato è colui che si spaventa di fronte ad ogni novità, al cambiamento. Vede sempre il dramma dietro ogni cosa.

Il critico è colui che, qualsiasi cosa noi facciamo giudica, pontifica, mette in luce gli aspetti negativi della situazione.

Il perfezionista è colui che non è mai soddisfatto, alza sempre l’asticella, ma non lo fa per un bisogno di realizzare cose e situazioni alla perfezione, ma solo per il puro gusto di boicottarci.

Infine la vittima: colui al quale va sempre tutto male, colui secondo il quale succede tutto a lui, ha, insomma, la sindrome del brutto anatroccolo.

Vi riconoscete? Qual ‘è il vostro sabotatore? Non è solo uno? Sono di più? C’è una buona notizia: come un ordigno, il nostro critico interiore può essere disinnescato. Come? Innanzitutto diamogli un nome. Un nome magari buffo per, da un lato, ridimensionarlo e dall’altro per prendere consapevolezza che è qualcosa esterno da noi. Poi facciamo parlare con una vocina ridicola. Gli togliamo potere e autorevolezza. Terzo: iniziamo un dialogo con il nostro censore interno. Smontiamo pezzo a pezzo tutte le sue convinzioni. E’ come se ci vedessimo dall’esterno. E’ più facile se dialoghiamo con qualcuno che non siamo noi. Siamo più oggettivi, lucidi e sappiamo anche dare i consigli giusti. Non è cosi che facciamo con un amico o un’amica? E’ più semplice vedere una situazione dall’esterno., perché non siamo coinvolti emotivamente. Comportiamoci così con il nostro spiritello interiore. Una volta che lo abbiamo identificato, etichettato, ridicolizzato, possiamo davvero metterlo da parte e prendere una nuova consapevolezza di noi.

Valorizziamo le nostre risorse

Una volta uscita dalla gabbia interiore nella quale noi stessi ci siamo infilati, siamo finalmente liberi di scegliere, non prima di aver messo in luce le nostre doti, qualità, risorse. Siamo più portati facilmente a essere amorevoli, compassionevoli con gli altri e meno con noi stessi. Perché? Vogliamoci più bene, trattiamoci con gentilezza. Prendiamoci più cura di noi, rispettiamoci. Prendiamoci le giuste pause, non assegnamoci compiti che non vorremmo mai affidare agli altri. Prova a fare questo esercizio: scrivi le qualità per cui ti senti soddisfatto di te stesso. Poi fai un elenco di doti per le quali sei apprezzato dagli altri. E’ una bella azione di autostima. Quindi, per finire, scriviti una lettera, augurandoti tanto bene.

Il tempo di scegliere

Ora che hai disinnescato il tuo sabotatore, hai evidenziato le tue risorse come ti senti? Non ti sembra che sia giunto il momento di scegliere? Sei proprio sicuro che la vita che stai conducendo è in linea con il tuo essere più profondo? Pensa cosa è meglio per te e che cosa ti fa stare bene. La scelta di chi vuoi essere e di che vita vuoi condurre è solo in tuo potere. Il potere di scegliere.

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5 strategie per stimolare la motivazione

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Non so voi, ma io sento nell’aria un calo della motivazione. Passata l’euforia ( si fa per dire) per essere usciti dal lockdown, questa incertezza dominante ha prodotto una forma di depressione generalizzata. Continuiamo a vivere una vita sospesa, anche adesso, seppure all’aperto e con mascherina, ovviamente. Non si può pianificare, non si possono fare programmi neanche di breve periodo. Per i più fortunati un programma a breve c’è: le vacanze. Ma per chi deve continuare a svolgere la propria attività, soprattutto per coloro i quali va pianificato e riprogrammato il proprio business dopo il calo causato dalla pandemia, per i micro e piccoli imprenditori c’è bisogno di dare una nuova spinta motivazionale.

Un’iniezione di positività

Non è facile guardare il futuro con ottimismo, specie se si è registrato un importante calo di fatturato e si hanno dei dipendenti . Penso a tutta la filiera del turismo, gli organizzatori di eventi che stentano a riprendere la loro attività. Settori per i quali non è facile ritrovare la motivazione. La motivazione per loro è sempre stata la passione, l’entusiasmo con il quale hanno sempre svolto il loro lavoro. La motivazione sono i loro clienti. Ma se ora i clienti non arrivano ? Non possiamo farci prendere dallo sconforto, perché significa perdere la motivazione e senza l’energia vitale come si può affrontare il futuro? Sappiamo che l’autostima e la fiducia in se stessi sono il primo motore per poter procedere . Una buona dose di autostima innesca meccanismi di positività, una forza propulsiva, un booster per ingranare la marcia e rimettersi in carreggiata. Pronti per ripartire.

1. Accresci la tua autostima

Nel libro “I 6 pilatri dell’autostima” Nathaniel Branden dimostra l’importanza della stima per sé per la nostra salute psicologica, per conseguire successi personali, per la ricerca della felicità e le nostre relazioni personali. Secondo Branden i sei pilastri dell’autostima consistono nel vivere consapevolmente, nell’accettazione, nella responsabilità, nella sicurezza di sé, nel porsi degli scopi e nell’integrità personale. Sono punti fondamentali- dei veri e propri pilastri, appunto- per poter condurre una vita equilibrata e serena. A dispetto delle condizioni esterne, delle contingenze, una buona dose di autostima ci consente di poter affrontare le avversità con uno spirito positivo e costruttivo. Ma quando la motivazione vacilla’? Un buon Coach farebbe fare degli esercizi per poter fare uno screening del proprio livello di autostima per focalizzarsi sui successi conseguiti, ad esempio. Provateci : prendete carta e penna ( o il solito taccuino) e scrivete 10 successi che avete conseguito nella vostra vita. Possono essere in tutti gli ambiti: personale, professionale. Anche quelli che avete conseguito da bambini: come quella volta che , a 7 anni, durante il saggio di pianoforte con un coetaneo, non ci si è persi d’animo quando il compagno ha sbagliato le note e siete riusciti a proseguire fino alla fine ( è un esempio che ho preso dalla realtà e che mi ha raccontato recentemente una mia Coachee). Qui sotto trovate, invece, una serie di esercizi da realizzare per 5 settimane per accrescere la vostra autostima. Una volta che avete terminato il ciclo, se volete scrivetemi, e ci confronteremo.

2. Fissa ogni giorno un obiettivo

Ha fatto il giro del mondo il video dell’Ammiraglio William MrRaven, nel quale spiega come un semplice gesto, come rifarsi il letto tutte le mattine, può – come dice lui – cambiare il mondo. Fuor di metafora, il messaggio del militare è semplice: ogni giorno portiamo a termine un compito, raggiungiamo un obiettivo, anche se micro. Ne beneficia la nostra autostima. Ne risente la nostra motivazione. Significa riuscire a portare a compimento quello che ci prefiggiamo. E’ importante. Quindi, anche in questo periodo in cui il contesto storico non è dei migliori, poniamoci dei piccoli obiettivi tutti i giorni. Portiamoli a termine. Tutte le mattine ci svegliamo, prendiamo il nostro prezioso taccuino e scriviamo il nostro obiettivo della giornata. Pensate alla soddisfazione quando riprenderete la vostra penna o matita per scrivere accanto: fatto! Un’iniezione di ottimismo si irradia in tutta la vostra mente e vi sentite soddisfatti di voi. Provateci e fatemelo sapere, mi raccomando.

3. Definisci le priorità

Essere organizzati e concentrati su ciò che è davvero utile e produttivo è importante. Focalizzarsi magari su uno due impegni massimo, ma farli bene e portarli a termine con successo. Quante volte perdiamo, invece, energie nel fare cose che non sono prioritarie per noi? Talvolta ci perdiamo in rivoli di incombenze, che non ci portano da nessuna parte. Anche qui chiarezza e focus su ciò che può aiutarci a generare risultati concreti. E tangibili. Basta sprecare il nostro tempo. Il tempo è prezioso.

4. Fai attività fisica e una passeggiata consapevole

Una buona passeggiata, una corsetta possono aiutarci a ossigenare il nostro cervello e rendere più chiari i nostri pensieri. Spesso è durante l’attività fisica che ci si presentano le idee migliori. Gli insight, le intuizioni ci possono proprio venire nel momento in cui non siamo concentrati a pensare all’idea che proprio ci viene. E così magicamente la soluzione alla quale pensavamo da tanto si palesa all’improvviso. Anche camminare con consapevolezza, vale a dire concentrati su ciò che stiamo facendo è un buon metodo per raccogliere i pensieri e fare chiarezza. E’ ancora una volta il metodo dell’hic et nunc. Qui e ora. Siamo presenti. Sempre.

5.Lascia andare

Impara a liberarti di tutti quei pensieri negativi che rappresentano un blocco. Se cambiamo la prospettiva dalla quale vediamo una situazione, cambiamo la reazione emotiva che ne scaturisce. Talvolta è il nostro filtro mentale che ci impedisce di vedere la realtà delle cose. Impariamo a lasciar andare e a non trattenere le emozioni negative. Liberiamoci dalle nostre convinzioni limitanti. Potremo così recuperare la giusta motivazione e diventare consapevoli di ciò che ci è veramente necessario. Quando cambiamo il modo di guardare le cose, cambiamo anche il nostro punto di vista. E diventiamo liberi. Liberi di scegliere quello che ci fa stare bene ed essere felici. Se non è motivazione questa!

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Voglia di cambiamento

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Mai come in questo periodo abbiamo assistito a cambiamenti nella nostra vita. Cambiamenti dapprincipio subiti, ma se fosse giunto il momento di approfittare di questa situazione per prendere in mano la nostra vita? Potrebbe essere arrivato il momento del coraggio. Il coraggio di lasciare definitivamente una vita che ci era diventata stretta. Un evento esterno, come può essere stato il lockdown causato dal Covid 19, può aver accelerato un processo già in essere, ma di cui eravamo ancora inconsapevoli.

Se da un problema scaturisce sempre un’opportunità, infatti, forse vale la pena fermarsi a riflettere se è arrivato il momento di operare un cambiamento. Quel cambiamento tanto agognato e magari mai confessato neppure a noi stessi. Il cambiamento è una questione di equilibrio, tra quello che siamo e quello che vorremmo essere. Già, ma come vorremmo essere?

Come vogliamo essere

Il lockdown ci ha posto di fronte ad un nuovo stile di vita. In famiglia, al lavoro. E se avessimo scoperto che la vita che conducevamo prima della pandemia non fosse quella autentica, quella che ci faceva essere in linea con il nostro io più profondo? Magari abbiamo scoperto che si può vivere con ritmi più rilassati, meno frenetici. Che non dobbiamo correre come un criceto sulla ruota. Ma abbiamo bisogno di tempi più rilassati. Di essere più “umani”. Come poterlo capire? Innanzitutto facendosi delle domande. Porre le domande, le cosiddette “powerful question” sono quelle che il Coach pone al suo Coachee. Sono quelle domande scatenano un uragano di pensieri, emozioni. E ascoltandosi.

Sono felice?

La prima domanda da porsi è molto semplice” Sono felice della mia vita?”. Domanda esistenziale. Spesso ci troviamo a rivestire un ruolo, in famiglia, sul lavoro senza esserne consapevoli. Come un soldatino che a testa bassa marcia sul percorso che il comandante gli ha indicato. Senza pensieri e senza chiedersi il perché. Il lockdown è come se ci avesse permesso di alzare la testa, guardare il cielo e respirare un’aria diversa. Un’aria che abbiamo percepito con un profumo diverso. Abbiamo visto che la Natura durante la pandemia si è riappropriata dei suoi spazi. Il paesaggio ha assunto dei colori e delle sfumature diverse. E’ come se avessimo potuto vedere il mondo con lenti diverse. Prima erano offuscate, ora sono diventate più nitide.

Altre domande potenti

Proviamo a porci un’altra domanda: ” Come è cambiata la mia vita durante il lockdown’? ” Come mi sono sentito? ” Sono disposto a tornare a vivere come prima ? ” A cosa non posso più rinunciare? Magari scopriamo proprio che non siamo più in grado di rinunciare a passare più tempo insieme alla nostra famiglia. Oppure, può anche accadere che ci si renda conto che si possa vivere in maniera più essenziale. Che eravamo storditi dal superfluo, dal bisogno di accumulare sempre, senza però mai godere di quello che avevamo. Fermarsi, godere di quello che abbiamo. E’ come se la pandemia, per certi aspetti, ci avesse aperto gli occhi. Non è detto che si sia diventati persone migliori. Siamo semplicemente diventati noi stessi. E’ poco? Assolutamente no. E’ una grande conquista. Forse è giunto il momento per vivere una vita autentica. La nostra vita.

E’ sempre il momento giusto per cambiare

Non esiste il momento giusto per mettere in discussione la propria esistenza. Il momento giusto è quando è arrivato, il momento, punto. Può essere un fattore esterno, il Covid, ad esempio. Può essere un episodio sul lavoro. Un segnale che ci lancia il nostro corpo. L’importante è saperlo cogliere. La vita spesso ci lancia dei segnali. Bisogna saperli cogliere, decifrarli e agire. Ci sono tante persone che hanno stravolto la propria vita e sono felici. Come la mia amica e insegnate di yoga, Mara Valenti, ex docente di Diritto Internazionale alla facoltà di Scienze Politiche di Milano, alla quale la vita accademica era diventata pesante e , con grande coraggio, senza paracadute, ha lasciato la sua promettente carriera universitaria per diventare insegnante di meditazione e yoga. Mara ha avuto tanto coraggio, non è stato facile. Ma ha saputo cogliere i segnali che il suo corpo le inviava, ha saputo mettersi in ascolto e operare la sua scelta. Ora è sicuramente più felice di quanto non lo fosse prima. La sua vita è cambiata, tanto. Ma ora conduce la vita che è in linea con le sue aspirazioni più profonde.

L’autostima

Bisogna avere una giusta dose di coraggio per porre in essere un cambiamento, ma bisogna anche essere consapevoli di avere a disposizione strumenti e risorse adeguate. Un buon grado di autostima, la consapevolezza che a prescindere dei contesti in cui operiamo siamo in grado di affrontare la situazione. Riflettere su chi siamo e su cosa siamo riusciti a costruire è un buon punto di partenza. Se in altre circostanze siamo stati in grado di affrontare con successo le situazioni, significa che saremo in grado anche di affrontare l’ignoto. Fiducia in se stessi, fiducia nelle proprie capacità : è questo l’approccio utile per porre in essere quel processo che può innescare il cambiamento. Un buon dialogo interiore , una buona relazione con noi stessi. Una consapevolezza di quelle che sono le nostre passioni. Proviamo a partire proprio da qui. Con una semplice domanda’ “In che cosa sono bravo”? “Qual era la mia qualità principale quando ero piccolo?” Magari scopriamo che quello che abbiamo sempre desiderato, perché legato alle nostre passioni, non è stato poi quello che abbiamo scelto come professione. Proviamo a tornare a quel momento, a quando facevamo cose che ci facevano sorridere il cuore. Proviamo a riconnetterci con la nostra passione. Ritorniamo così alla piena sintonia di chi siamo e quello che vorremmo essere.

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Le soft skills più richieste in azienda

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Il tormentone ” non sarà più come prima”, investe anche le soft skills richieste in azienda? Ovviamente la risposta non può che essere sì. In un mondo in cui gli scenari cambiano così rapidamente, occorre una capacità di adattamento fuori dal comune.

Viviamo in un mondo Vuca ( volatile, incerto, complesso e ambiguo), l’acronimo coniato per la prima volta dagli esperti di leadership Warren Bennis e Burt Nanus, in un’epoca non sospetta, quando il Covid non si era ancora palesato. Pensiamo come gli scenari si sono modificati oggi: lockdown, distanziamento sociale, smart working. Un’accelerazione che neanche i futurologi più esperti avrebbero potuto immaginare. Le doti maggiormente richieste e necessarie non possono quindi che essere quelle legate alla capacità di adeguarsi alla nuova situazione, una mentalità capace di anticipare , orientata al problem solving costante e continuo. Ma vediamo quali sono secondo una recente indagine, condotta da Linkedin, le soft skills più richieste alla luce dei nuovi scenari.

1.Creatività

Una mente aperta, con una forte orientamento a trovare soluzioni rapide alle mutate contingenze è diventata imprescindibile. Abbiamo dovuto rivoluzionare la nostra vita in un lasso di tempo brevissimo. Ci siamo adattati ad una realtà lavorativa di cui si parlava da anni – lo smart working-, ma che le Aziende tardavano a introdurre, soprattutto per un così elevato numero di lavoratori. Una mente creativa, capace di trovare soluzioni in tempi super rapidi è sicuramente da prediligere rispetto ad una personalità più resistente al cambiamento. Perché una mente creativa e sicuramente orientata al problem solving. Ma come coltivare questa soft skill, divenuta sempre più apprezzata?

Come coltivare la creatività

Si sa che noi italiani abbiamo una particolare propensione a questa qualità. Siamo il popolo creativo per antonomasia. La creatività è stata il nostro marchio di fabbrica. E’ nel nostro dna. Ma possiamo anche coltivare e sviluppare un approccio creativo. In azienda spesso si organizzano e realizzano porgetti volti a stimolare questa soft skills: team building, team coaching. Noi dal canto nostro abbiano realizzato un progetto volto proprio a sviluppare questa caratteristica attraverso laboratori creativi, come quelli che realizziamo nel percorsi di Art Coaching. Spesso rimaniamo stupite noi stesso nel vedere la grande abilità creativa che i partecipanti sanno esprimere attraverso le attività ispirate all’arte. Un altro stimolo per sviluppare questa soft skills è anche sforzarsi di uscire dalla nostra zona di comfort e realizzare cose che non avremmo mai fatto.

Un utile esercizio

Un esercizio che spesso consiglio ai miei Coachee è quello di fare ogni giorno, per 15 giorni, una cosa che non avevano mai fatto prima. In questo caso lo stimolo alla creatività è duplice: da un lato sforzarsi di trovare, ogni giorno, qualcosa di nuovo da realizzare, dall’altro mettersi a realizzare l’attività che si è immaginata. Più facile a dirsi che a farsi. Provate a mettervi alla prova. Ogni giorno. per 15 giorni. Abituiamo così il nostro cervello a sforzarsi ad adottare comportamenti che non siano ripetitivi e abitudinari. E’ l’esercizio giusto per uscire dalla nostra zona di comfort. E stimolare la creatività.

2. Persuasione

La capacità di influenzare gli altri attraverso l’esempio è una qualità intrinseca di un leader. L’autorevolezza, l’essere un modello a cui ispirarsi è una delle soft skills più apprezzate nella leadership. Fondamentali buone capacità di comunicazione, ma anche chiarezza di pensiero, capacità di argomentare le proprie idee. Aggiungo che un comportamento etico e socialmente responsabile sono altre qualità fondamentali. Soprattutto in questo periodo storico avere atteggiamenti e comportamenti improntati ad una serie di valori condivisi nel rispetto del bene comune sono stati essenziali. Soprattutto in periodi di incertezza e volatilità poter contare su una guida nella quale riporre fiducia e consenso fa la differenza. Significa anche saper ispirare comportamenti virtuosi. Perché in un contesto nel quale non si hanno tante certezze ” fai sì che siano i tuoi valori a fare da guida” come ha detto Jeremy Hunter, Coach, tra i relatori durante il World Business and Executive Summit.

3. Collaborazione

Il lavoro di squadra è essenziale per poter raggiungere meglio i risultati. I team, che operano come comunità , collaborando fra di loro, mettono da parte le differenze per essere singolarmente e collettivamente concentrati sul bene dell’azienda. Per questo bisogna fare molta attenzione alla composizione del team. Saper scegliere le persone individualmente, capire cosa le rende diverse per poi integrarle con il resto del gruppo. Persone dal grande potenziale, ma capaci di agire da “solisti” non funzionano in un’organizzazione nel quale il lavoro di squadra è fondamentale. Saper motivare il gruppo instaurando un clima di collaborazione e fiducia è uno degli obiettivi di un buon leader . Creare un clima di collaborazione, individuare un obiettivo condiviso è fondamentale per il il successo del team e di conseguenza dell’azienda. Per questo è importante creare situazioni in cui la collaborazione venga sviluppata come soft skills. Anche in questo caso attività di team building, di team coaching sono importanti per raggiungere questo risultato. Un’esigenza quanto mai necessaria in questo momento in cui le attività di smart working stanno facendo venir meno occasioni di collaborazione fra colleghi. L’energia che si sviluppa nella condivisione è importante per poter raggiungere risultati importanti e di adesione ad un progetto. Per questo ritengo che anche in questo periodo di distanziamento sociale, imposto dalle condizioni di emergenza, sia comunque importante creare momenti di condivisione, di team building, anche da remoto. Mantenere lo spirito di squadra è quanto mai fondamentale.

4. Adattabilità

Abbiamo visto che il sapersi adattare al cambiamento è una soft skills essenziale, non solo in questo periodo storico. Per sviluppare questo approccio bisogna coltivare la capacità di saper vedere le situazioni sempre da prospettive diverse. Il later thinking, la capacità di osservare la situazione da diverse angolazioni . Per sviluppare questa abilità è importante essere aperti a nuove esperienze, nuove competenze. Anche i viaggi e le letture ci aiutano a cambiare le prospettive. Ci danno quegli strumenti per conoscere punti di vista differenti. Ancora una volta bisogna saper uscire dalla comfort zone. Coltiviamo la curiosità, lo stupore. Una mente allenata a vedere come la vita possa essere vissuta in maniera diversa. Non dando mai nulla per scontato.

5.Intelligenza emotiva

E’ questa, a mio parere, la madre di tutte le soft skills. L’intelligenza emotiva ci offre una serie di capacità e di abilità che ricomprendono tutte le altre: la capacità di ascoltare, di persuadere, di collaborare, di motivare. E’ la capacità di percepire, valutare, rispondere alle proprie emozioni e a quella degli altri. E’ empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri. Saper anticipare i bisogni e talvolta anche le nuove direzioni. La capacità di ispirare e guidare gruppi di persone.

Competenze personali e sociali

Tutto ciò perché l’intelligenza emotiva, come ben spiega Daniel Goleman nel suo libro “Come lavorare con intelligenza emotiva” può contare su un insieme di competenze sia personali che sociali. Per quelle personali, determina il modo in cui controlliamo noi stessi attraverso la consapevolezza di sé, vale a dire la conoscenza dei propri stati interiori , la padronanza di sé cioè la capacità di dominare i propri stati interiori , la motivazione, cioè la comprensione delle tendenza emotive che facilitano il raggiungimento degli obiettivi. Per quanto concerne le competenze sociali, comprende la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui, vale a dire l’empatia oltre a una serie di abilità : una buona capacità di comunicare, la capacità di ispirare e guidare gli altri, la capacità di risolvere i conflitti, la capacità di alimentare e favorire relazioni, la collaborazione e cooperazione, la capacità di lavorare in team. Caratteristiche tutte che consentono anche di portare valore. E valori. Perché siano la nostra guida.

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La leadership ai tempi del post-Covid

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Se nulla sarà più come prima, dovremo anche pensare ad un nuovo modello di leadership. Magari anche ispirandoci a Bill Campbell, il “Coach da un trilione di dollari” , come è stato definito nel recente “Manuale di Leadership del Coach nella Silicon Valley”. Campbell è stato mentore di Steve Jobs, Larry Page, Erich Schmidt, fra gli altri e Coach di decine di leader degli Stati uniti. Perché ispirarsi a colui che è stato definito il Coach dei team? Perché secondo Campbell le persone devono essere al centro. Le priorità assolute di un manager sono il benessere e il successo delle persone con cui lavora. Campbell era una persona molto empatica. Il suo tratto caratteristico e distintivo era abbracciare le persone. Abbracciava tutti. Certo, in epoca di Covid19 avrebbe dovuto anche lui trattenersi da questa sua espansività, ma si sarebbe sicuramente preoccupato della salute, del benessere delle persone. In caso di smart working avrebbe cercato di trovare quelle condizioni per le quali le persone si sarebbero sempre sentite al centro e parte di un team.

Il team come parte di una comunità

Perché uno dei limiti dello smart working è proprio quello di non sentirsi più parte di un team. E’ questa una delle ragioni per le quali, dopo un’iniziale momento di entusiasmo, molti lavoratori con lavoro agile hanno cominciato a non apprezzare più questa modalità. Gli studi indicano che quando le persone sul posto di lavoro sentono di essere parte di una comunità, che le supporta, si impegnano di più e sono più produttive. E’ quindi compito del leader fare in modo che, anche a distanza, il gruppo si senta coeso. Fondamentali riunioni, magari quotidiane, per poter condividere idee, avanzamenti dei progetti . Ma anche attività di team coaching che abbiano la finalità di far emergere nuove consapevolezze in un’ottica di gruppo. Oppure come gli “Smart team building“, attività di gruppo che possono essere realizzate grazie all’utilizzo di piattaforme in maniera creativa e coinvolgente.

Sviluppare la resilienza

La leadership in epoca di post-Covid deve sapere creare le condizioni per portare il team ad essere resiliente. Secondo un recente articolo apparso sulla Harvad Business Review, è possibile che i leader possano lavorare sullo sviluppo della resilienza anche in remoto. Due sono i fattori su cui concentrarsi : le persone e le prospettive. Per il primo è fondamentale conoscere i fattori di resilienza del team. Secondo gli psicologi sono 3 i “fattori protettivi o di facilitazione” che possono predire se le persone saranno resilienti: alti livelli di fiducia nelle proprie capacità, routine disciplinate per il loro lavoro, infine sostegno famigliare o sociale.

La persona al centro

Nello stile di Campbell, fondamentale è dialogare con le proprie persone e creare quelle condizioni per cui i team possano avere sicurezza psicologica, perché, pur sapendo di lavorare in condizioni critiche , sanno di poter contare sul supporto del proprio manager. Nella leadership post-Covid diventa prioritario, dunque, spendersi in prima persona per capire come il collaboratore si trova a lavorare in smart working, in che modo pianifica la programmazione del proprio lavoro, come poterlo supportare negli impegni di vita propria e famigliare. L’ascolto dei bisogni diventa quindi essenziale per costruire una squadra coesa, motivata, supportata e resiliente. Costruire un pensiero collettivo nel quale ciascuno è parte di un’insieme. Avere anche obiettivi chiari, per costruire fiducia nel fatto che il team può fare la differenza. Creare le condizioni per costruire sicurezza, chiarezza, significato, affidabilità all’interno del team.

La comunicazione diventa strategica

Nella leadership post-Covid la comunicazione interna diventa fondamentale anche per poter gestire tutte le emozioni generate dalla pandemia: paura, tristezza, preoccupazione per il futuro, ma anche speranza. In un recente studio condotto dallo Iulm si evidenzia come la comunicazione interna aziendale sia in crescita anche in epoca Covid. Si è rivelata uno strumento strategico per poter gestire le situazioni di crisi. Le aziende infatti hanno bisogno di persone che trasmettano i loro comportamenti di valore. Stiamo vivendo un momento storico nel quale i valori vanno trasformati in virtù per porre in essere comportamenti virtuosi. La pandemia ci ha insegnato che siamo tutti connessi, che il rispetto per sé significa rispetto anche per gli altri. E’ fondamentale quindi il coinvolgimento delle persone.

Prospettiva : opportunità di apprendimento

Una buona leadership dovrà anche focalizzare le opportunità di apprendimento che si trovano all’interno delle avversità. E’ un approccio che Robert J.Thomas ha evidenziato nel suo libro “Crucibles of Leadership” e che ha definito ” riformulare la tensione”. Mettere in luce le opportunità piuttosto che i fattori negativi. Evidenziare, ciò che il team sta imparando dalla situazione di avversità rafforza i 3 fattori protettivi: fiducia, routine disciplinata e supporto. Qualsiasi crisi è fondamentale per sviluppare la resilienza . Saper affrontare e superare situazioni di crisi crea persone e leadership resilienti.

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La ripartenza : 5 consigli per gestirla al meglio

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Il conto alla rovescia per la ripartenza è cominciato. Mancano solo 2 giorni alla riapertura e alla fine, almeno in parte, del lockdown. Come ci sentiamo di fronte a questa data? Che sentimenti proviamo? Per molti sarà una vera liberazione. Soprattutto per coloro per i quali l’assenza di attività di fisica è stata vissuta come una grande privazione. Anche per coloro che non hanno visto i loro “congiunti”, il sostantivo della settimana. Ci saranno coppie che si ritroveranno dopo quasi due mesi di isolamento sociale. E per loro sarà bellissimo. Ma esiste anche una fascia della popolazione un po’ smarrita di fronte a questa apertura. Per loro la ripartenza può essere fonte anche di ansia. Sono le persone per le quali uscire dallo spazio protetto della propria abitazione, un vero e proprio rifugio in questi giorni, può dar luogo a qualche preoccupazione

Vivere protetti

C’è un termine inglese che descrive benissimo il sentimento di sentirsi protetti, coccolati, come all’interno di un bozzolo. Il termine è cocooning e letteralmente significa : ” Trasformare la propria abitazione in un ambiente, confortevole, protettivo, concentrandovi la maggior parte delle attività del tempo libero”. Vivevamo in una condizione di cocooning, e non lo sapevamo. Sapevamo però che eravamo e siamo ancora protetti. Tutto accadeva al di fuori delle nostre mura. I telegiornali ci raccontavano che fuori c’era una guerra con persone che soffrivano, con eroi che li curavano. Ma tutto era al di fuori di noi. Eravamo anche convinti che dopo la fase 1, entrati nella fase 2 , tutto sarebbe finito, il virus sarebbe magicamente scomparso.

La nostra zona di comfort

Perché vivere nella nostra comfort zone significava essere protetti e quasi invincibili. Per questo la ripartenza sarà una fase delicatissima. Ci catapulta improvvisamente in un nuovo mondo. Eravamo entrati in un mondo, quelle delle nostre abitazioni prima del lockdown, l’isolamento sociale e ora ne usciamo per entrare in una altro ancora sconosciuto. Per questo la ripartenza può essere una fase molto delicata. Alla stregua dell’inizio dell’emergenza. Esaminiamo quindi una serie di consigli che possono esserci utili per affrontarla nel migliore dei modi.

1. Riparti con cautela

Dopo una resistenza iniziale perché privati della nostra libertà, ci siamo abituati al nuovo ritmo. Un ritmo più lento. Si è parlato di tempo sospeso, un tempo quasi rarefatto. Per questo il passaggio nella fase 2 deve essere fatto con la stessa andatura. Manteniamo lo stesso ritmo che abbiamo acquisito. Non mettiamoci a correre in maniera scomposta, senza la giusta andatura. Rispettiamo i nostri nuovi tempi, quelli che abbiamo acquisito durante la nostra pausa forzata. Del resto abbiamo acquisiti un ritmo più coerente con il nostro tempo interiore. Manteniamo la stessa frequenza. Prova a domandarti: qual è la mia frequenza oggi? Memorizzala e quando ti troverai nella nuova fase, tienila sempre a mente. Tutte le mattine prima di iniziare la giornata sintonizzati sulla frequenza. La sera prima di andare a dormire: ” Ho mantenuto la stessa frequenza?” Se la risposta è sì, vuol dire che sei riuscito a rispettarti e rispettare i tuoi nuovi tempi. Ottimo!

2. Mantieni un’abitudine che hai acquisito

Il maggior tempo a disposizione nella fase di lockdown ci ha permesso di introdurre nuove abitudini nella nostra vita. Abbiamo introdotto magari un hobby, un’attività. Bene, cerca di mantenerla. Se ti ha fatto bene in questa fase di isolamento ti farà bene anche quando ti riapproprierai della tua vita. Io, ad esempio, ho inserito nella mia routine le lezioni di yoga al mattino, appena sveglia. Bene, è un’abitudine a cui non voglio più rinunciare. Basta puntare la sveglia mezz’ora prima del solito e i benefici di una buona pratica di yoga si faranno sentire per tutta la giornata. Un buon equilibrio tra mente e corpo, risultato straordinario.

3. Coltiva la pazienza

Avremo bisogno di molta pazienza nei giorni che ci attendono alla ripartenza. Le regole del distanziamento sociale sui mezzi pubblici, nei negozi ci imporranno lunghe code. Sappiamo che noi italiani siamo poco avvezzi a stare in attesa a lungo negli incolonnamenti. Ma questa sarà la nuova realtà che ci attende. Un buon libro, cartaceo o digitale, potrà farci compagnia nelle lunghe attese. Avere impegnata la mente ci aiuta a non concentrarci sul tempo di attesa. Pensare, immaginare, fantasticare ci aiuta a distrarsi. Un altro utile consiglio? Un taccuino su cui annotare idee, pensieri, intuizioni . La creatività può essere un valido alleato.

4. Pratica l’accettazione

Essere osservatori dei propri pensieri senza giudicarli è un’ottima pratica di Mindfulness. Invece di combattere i pensieri negativi, si possono accettare e magicamente il sentimento che li ha generati scompare. Uno studio sul dolore ha messo in luce il fatto che la sua accettazione riduce effettivamente il dolore. L’accettazione è l’opposto della resistenza. Tutte le nostre emozioni negative e lo stress sono causate proprio dalla resistenza. La rabbia, ad esempio, è dovuta al fatto che qualcosa o qualcuno non è nel modo in cui non crediamo che debba essere. La delusione, invece, nasce quando resistiamo al fatto che che qualcuno o qualcosa non ha soddisfatto le nostre aspettative. Siamo stressati infine, quando crediamo che dovremmo essere in grado di controllare qualcosa o qualcuno in una situazione La soluzione a tutte queste situazioni è lasciar andare le cose che riteniamo negative o sbagliate, accettando la realtà per come è. L’accettazione è il punto di partenza per affrontare qualsiasi esperienza negativa. Se sei interessato ad approfondire questo tema, ho messo a punto un percorso di Coaching dal titolo “21 giorni di Mindfulness” per lavorare sulla consapevolezza.

5. Assumi le tue responsabilità

Ci siamo abituati ad avere atteggiamenti responsabili in questi giorni. Il rispetto delle regole è stato fondamentale per proteggersi e proteggere gli altri. La consapevolezza che le nostre azioni sono fondamentali per il bene nostro e degli altri ha portato con se l’assunzione della nostra responsabilità. Un cambio di paradigma non da poco in un mondo in cui il gioco più è diffuso è quello di accusare gli altri di tutto ciò che accade. Assumere la consapevolezza che siamo noi con i nostri comportamenti e azioni a poter incidere sulla nostra vita è una scoperta davvero molto importante, oltre che potente. Io sono il mio centro. La ripartenza parte da qui.

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