Perché c’è bisogno di gentilezza

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In questa epoca di conflitti, risse, scontri verbali e non solo, la gentilezza è un’attitudine e una qualità sempre più preziosa. La gentilezza ci aiuta non solo perché è una dimostrazione di buona educazione, rispetto nei confronti di se stessi e degli altri, ma contribuisce a creare un ambiente positivo e armonioso. La gentilezza può dimostrarsi addirittura come un super potere, un antidoto contro l’aggressività e la maleducazione. Avete mai provato a rispondere in maniera gentile, pacata a qualcuno che ci aggredisce o inveisce contro di noi? Il maleducato, l’aggressivo si paralizza. Rimane senza parole perché viene spiazzato dal fatto che gli si risponde con un altro codice verbale. Di fronte ad un atteggiamento gentile si prova un senso di tranquillità.

Circondarsi di persone gentili

Le persone gentili sono persone che spiazzano proprio perché sanno rispondere in maniera controllata, pacata. Ho sempre pensato che sentirmi dire “sei una persona gentile” fosse il complimento più bello che potessi ricevere. Mi piace la gentilezza e anche circondarmi di persone gentili. Penso che piaccia a tutti, ovviamente. Frequentare persone gentili ci mette in una condizione di armonia, serenità e pace. Ho anche sempre pensato che la gentilezza sia una qualità che contribuisce a creare un mondo migliore. Anche un piccolo gesto gentile può avere un grande impatto sulla vita degli altri. Per dirla con Mark Twain ” la gentilezza è ciò che i ciechi possono vedere e i sordi possono sentire”. Un valore universale insomma.

Le caratteristiche

È un gesto di attenzione e che contribuisce a creare un ambiente ricco di armonia. Ecco alcune caratteristiche che la gentilezza può favorire.

  1. Empatia: Essere gentili significa mettersi nei panni degli altri e cercare di comprendere i loro sentimenti e le loro esperienze. L’empatia ci aiuta a rispondere con sensibilità alle necessità degli altri e metterci in ascolto.
  2. Atti di cortesia: La gentilezza si esprime attraverso piccoli gesti quotidiani come ringraziare e dire “per favore” aprire una porta per qualcuno o lasciare il posto su un autobus. Questi atti di cortesia mostrano rispetto e considerazione per gli altri.
  3. Aiuto disinteressato: Essere gentili significa offrire aiuto in maniera disinteressata. Può essere un gesto semplice come aiutare qualcuno a portare dei pesi o offrire supporto emotivo a un amico in difficoltà.
  4. Comunicazione positiva: La gentilezza si riflette anche nel modo in cui comunichiamo con gli altri. Non utilizzare parole offensive o giudicanti, ma usare un linguaggio gentile e costruttivo contribuisce a creare relazioni più armoniose.
  5. Rispetto per le differenze: Essere gentili significa rispettare le diverse opinioni, culture, religioni e stili di vita degli altri. Accettare le differenze e trattare gli altri con rispetto è un segno di gentilezza. Significa essere inclusivi.
  6. Generosità: La gentilezza può anche manifestarsi attraverso atteggiamenti generosi. Donare il proprio tempo, risorse o competenze per aiutare gli altri è un atto di gentilezza che può fare la differenza nella vita di qualcuno.

Il ciclo positivo della gentilezza

La gentilezza non solo fa bene agli altri, ma ha anche numerosi benefici per chi la pratica. Ecco alcuni di questi vantaggi:

  1. Migliora il benessere emotivo: Essere gentili può aumentare il nostro senso di serenità e soddisfazione. Quando facciamo qualcosa di gentile per gli altri, spesso ci sentiamo meglio con noi stessi e sperimentiamo una sorta di “effetto positivo”.
  2. Riduce lo stress: Gli atti di gentilezza possono ridurre i livelli di stress. Aiutare gli altri o fare un gesto gentile può distogliere la mente dai nostri problemi personali e concentrarci su qualcosa di positivo.
  3. Stabilisce relazioni più forti: La gentilezza crea connessioni significative con gli altri. Quando siamo gentili, gli altri tendono a rispondere positivamente e a voler stabilire un legame con noi. Questo può portare a relazioni più forti e durature.
  4. Aumenta l’autostima: Fare del bene agli altri ci fa sentire valorizzati e apprezzati. Questo può contribuire a migliorare la nostra autostima e la percezione di noi stessi.
  5. Promuove la gratitudine: Quando siamo gentili, spesso riceviamo gratitudine e riconoscimento dagli altri. Questo ci aiuta a sviluppare un atteggiamento di gratitudine e apprezzamento per ciò che abbiamo.
  6. Effetto a catena: La gentilezza può avere un effetto a catena. Quando facciamo qualcosa di gentile per qualcuno, spesso ispiriamo quella persona a fare lo stesso per gli altri. Questo crea un ciclo positivo di gentilezza che si diffonde.
  7. Migliora la salute fisica: Alcune ricerche hanno evidenziato che la gentilezza può avere benefici per la salute fisica. Ad esempio, può ridurre la pressione sanguigna e migliorare il sistema immunitario.

A questo punto, visto i grandi benefici della gentilezza, perché il mondo si sta popolando di persone sempre meno gentili? Il primo passo per cambiare viene sempre da noi. Coltiviamo sempre di più atti di gentilezza nei confronti di noi stessi e degli altri. Perché gentilezza genera gentilezza. Io l’ho scritto anche sul mio stato di whatsapp per non dimenticarmelo mai…

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Niksen, il piacere del dolce far niente

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In queste giornate di pausa e di vacanze per il lungo ponte, ho provato, a tratti, sensi di colpa per questo profondo stato di pace e di benessere. E’ mai possibile provare sensi di colpa per non essere in affanno, non dover rispondere alle email, alle telefonate che ci incalzano? Certo che non è possibile. E’ invece importante concedersi questi momenti di pace e inattività. Come farlo? Sintonizzandoci con un concetto espresso da una parola : Niksen.

Il lusso dell’ozio

ll Niksen è il potere della pausa, significa letteralmente “non fare niente” ed ha iniziato a farsi strada nei Paesi Bassi. Il concetto ha iniziato a diffondersi con la pubblicazione di un libro “L’arte di non far niente per vivere slow”, scritto da Annette Lavrijnsen, pubblicato in Italia da Slow Food Editore, manco a dirlo. Il libro racconta come ritagliarsi spazi di pausa nella propria vita, lontani dalle pressioni, incombenze. Starsene comodamente e pigramente sdraiati sul divano, senza riempirsi l’agenda di appuntamenti, impegni pressanti. Vivere il momento per il puro piacere di viverlo. Non certo semplice per le nostre menti programmate a raggiungere risultati concreti e sempre performanti.

Liberarsi dalle pressioni

L’arte del Niksen aiuta a liberarsi dalle pressioni. Dedicarsi consapevolmente a non fare nulla di produttivo. Riscoprire l’arte del dolce far niente. E’ l’ozio creativo di cui parlava anche il sociologo De Masi.Questo liberarsi da pressioni e affanni ci aiuta a liberare la mente e fare spazio alla creatività, ma anche alla concentrazione. La riscoperta del piacere di non dover essere necessariamente produttivi in maniera obbligatoria, forzatamente materialistici, si inserisce in un movimento e un pensiero più globale che sta investendo molti paesi. E’ anche legato all’idea della settimana corta. Un concetto di lavorare meno, lavorare tutti. Un po’ utopistico? Forse, ma sicuramente un modo di vivere più in linea con i nostri ritmi e con la nostra anima. E volersi bene.

Più tempo per le emozioni

Si tratta senza dubbio di un cambio culturale: non provare questi dannati sensi di colpa per il fatto di non agire. Significa ascoltarsi, entrare in contatto con se stessi, riscoprire anche il piacere del silenzio. Sicuramente essere a contatto con la Natura ci aiuta a praticare il “Niksen”. Proviamo quindi a introdurre piano piano delle nuove pratiche. Passeggiare senza meta, godersi un tramonto, fermarsi ad ascoltare il cinguettio degli uccellini. Piccole azioni che praticate con costanza ci aiutano ad entrare in una dimensione diversa, più serena. Una situazione dove riusciamo a liberarci dall’ansia da prestazione e vivere il momento in senso pieno e con appagamento. Vivere il Niksen ci aiuta a raggiungere un importantissimo risultato: liberarsi dai sensi di colpa per il puro piacere di assaporare il momento. Io desidero fortemente raggiungere questo obiettivo…aiuto, non sarò ripiombata nel bisogno di ottenere un risultato? Che la pratica del Niksen sia con me!

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Dire di no in 3 mosse

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Uno dei temi più affrontati durante le sessioni di Coaching è la difficoltà a dire di no. Il desiderio di compiacere gli altri, il timore di offendere, la paura di non essere amati o di deludere. Sono tante le motivazioni che sottendono a questa difficoltà di pronunciare una piccola parola di solo 2 lettere: no.

E’ capitato a tutti, c’è chi riesce in qualche modo a superare questa difficoltà, chi invece si cronicizza in questo atteggiamento che può creare davvero molto disagio e a volte anche sofferenza. Ma la buona notizia è che si può imparare a dire di no. In che modo? Basta volerlo e impegnarsi ad adottare degli atteggiamenti che possano superare questo impasse. Lo sappiamo, c’è una soluzione per tutto.

1. Ascoltiamoci

Spesso per non andare incontro ad emozioni negative e sofferenze, tendiamo a dire di sì, anche quando una parte di noi non è d’accordo. Quante volte per il cosiddetto quieto vivere, spesso anche inconsapevolmente, cediamo il nostro spazio, il nostro tempo è non diciamo di no? La prima cosa da fare in questi casi è ascoltarci. Se una parte di noi non è d’accordo, ascoltiamola. E’ importante anche domandarci come ci sentiamo fisicamente rispetto alla situazione. La domanda fondamentale da chiedersi è :” Che cosa è importante per noi?” E’ essenziale essere coerenti con i propri principi e e i propri valori e quando non si è d’accordo con il sì. Quando non diciamo no, è come se concedessimo agli altri una parte della nostra libertà. Se l’atteggiamento è costante, gli altri non solo si prendono la nostra libertà, il nostro tempo, ma per loro diventa addirittura normale chiedere qualsiasi cosa, se lo aspettano e al primo no si possono creare fratture proprio perché sono abituate a ricevere solo sì. Non è infatti sostenibile mantenere nel tempo atteggiamenti che prevaricano la nostra reale volontà. Accade così il contrario di quanto avevamo voluto all’inizio con il nostro atteggiamento sempre accomodante e disponibile. Perché può accadere che il no arrivi in un momento in cui l’altro non se lo aspetti o peggio quando noi siamo stanchi e arrabbiati e il no può essere pronunciato in maniera aggressiva. L’integrità , la trasparenza paga sempre. Ascoltiamoci dunque e siamo coerenti con noi stessi.

2. Dialoghiamo sempre

Si può trovare una buona negoziazione, un buon punto d’accordo per spiegare le nostre motivazioni del no. Essere chiari, sinceri. Ovviamente i chiarimenti richiedono tempo e la via più facile è dire di sì per evitare discussioni, dissapori. Giusto, ma poi? Nel tempo, lo abbiamo già visto, i malumori, i malesseri crescono se non ci siamo ascoltati e abbiamo acconsentito a situazioni o eventi che non erano in linea con le nostre vere inclinazioni. Le persone non sono sotto il nostro controllo, possiamo influenzarle, ma non sappiamo come la situazione si evolverà. Una buona comunicazione è anche una dimostrazione di rispetto nei confronti dell’altra persona, ma soprattutto nei confronti di noi stessi e produrrà i migliori risultati. Saper dialogare e comunicare bene paga sempre.

3. Essere chiari

Un concetto che non dobbiamo mai dimenticare è che non si dice no alla persona, ma alla sua richiesta. E’ un discrimine fondamentale e forse il cuore vero del problema. Dicendo di no abbiamo paura di ferire l’altro, abbiamo paura che non si senta accettato. Essere accettati e amati è quello a cui tutti aspiriamo. Dicendo di si pensiamo di fare un regalo. Ma non è così. Non si parla anche di no che fanno crescere ? La letteratura pedagogica è piena di titoli che sottolineano l’importanza dei no ai bambini, agli adolescenti. Proviamo a ricordare a qualche bel no pronunciato dai nostri genitori: non è stato fondamentale nella nostra crescita e nel diventare adulti responsabili? Allora pronunciamolo il no quando sentiamo che il sì non aiuterebbe noi, ma neanche la persona che ci è di fronte. Più c’è chiarezza nei valori, più è facile dire di no. Ricordiamoci però che, il più delle volte, il no più importante dobbiamo dirlo a noi stessi, prima che agli altri…

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Un inno alla vita

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Si sta parlando molto in questi giorni di un’intervista di Michela Murgia rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera sulla malattia della scrittrice. La Murgia ha aperto il suo cuore, ha fatto entrare nella propria vita una popolazione intera. Le sue parole sono state profonde, coraggiose. Del resto gli artisti hanno una capacità di entrare in contatto con le proprie emozioni e soprattutto di saper esprimere i propri sentimenti in maniera lieve e profonda allo stesso tempo. Lo sanno fare in maniera poetica tanto da rendere delicati anche i pensieri più tristi e dolorosi.

Il ricordo di noi

L’intervista è un concentrato di riflessioni, spunti su cui ragionare. Pensieri sulla nostra esistenza. Ogni parola ha la capacità di porci degli interrogativi, ma c’è una domanda posta da Cazzullo che ha attirato più delle altre la mia attenzione : “Come vorrebbe essere ricordata?” E’ una domanda potente diremmo noi Coach. Ci induce a ragionare su una sorta di testamento morale di noi stessi. Si tratta di fare un’analisi profonda su chi si siamo veramente. La frase mi ha ricordato anche il testo di Gabriele Romagnoli ” Solo bagagli a mano“.

Tutta la vita davanti

Nel libro Romagnoli parla di un esperimento molto macabro, ma efficace. In Corea infatti, dice l’autore, per combattere il triste fenomeno dei suicidi c’è un’organizzazione che fa vivere l’esperienza, (forse meglio definirlo il trauma) della morte , facendosi chiudere in una cassa di legno. Come dice Romagnoli ” è come partecipare al proprio funerale”. Nello spazio claustrofobico della bara , ad occhi chiusi, si dipana in un tempo rapidissimo tutta la vita. Si rivivono tutte le esperienze, si pensa ai propri affetti, agli amori. Tutta la nostra vita insomma. Il risultato non può che essere di provare , una volta liberati , un grande amore per la vita. Non ci rende conto di ciò che si ha fin a che non lo si è perso. Non è cosi che si dice?

L’amore per ciò che abbiamo

Di fronte ad un’esperienza traumatica come questa non si può provare che una gioia immensa per tutto ciò che abbiamo. E’ un inno alla vita, con la consapevolezza che bisogna gioire in ogni istante di ciò che abbiamo. Basta lamentarsi di quello che ci manca. Dobbiamo godere delle piccole gioie che la vita ogni giorno ci regala. Provare tanta gratitudine. Sempre, in ogni momento. Coltivare relazioni profonde. Superare conflitti, fraintendimenti. Mettersi in ascolto egli altri. Superare atteggiamenti egotici.

Il nostro epitaffio

Nel riflettere su questi argomenti, mi è anche tornato alle mente un esercizio che la nostra Master Coach ci aveva proposto e che avevo trovato inizialmente macabro, ma che poi mi è sembrato davvero molto ispirante: “Che cosa vorreste fosse scritto sulla vostra tomba”? E’ questo il nostro testamento morale. E’ il pensiero che dovrebbe ispirarci in ogni istante della nostra vita. La nostra stella cometa. Vivere in maniera integra, pensando a come vorremmo che gli altri ci ricordassero. Per essere la “Luce delle stelle morte” come ci insegna Massimo Recalcati.

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Il potere dell’empatia

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” Se non provi empatia e le tue relazioni non sono efficaci, non importa quanto sei intelligente: non arriverai lontano”. Citiamo ancora una volta Daniel Goleman, , che pone l’empatia tra le 5 caratteristiche principali dell’Intelligenza Emotiva. Non possiamo non condividere il pensiero del nostro amato autore, psicologo e mettere in risalto il valore di questa risorsa preziosissima. Una competenza necessaria nelle relazioni, nell’apprendimento, nel lavoro di team e in tutti gli ambiti sociali.

Il valore delle persone empatiche

L’importanza di essere persone empatiche è stato messo in luce durante l’incontro a cui ho preso parte con un gruppo di studenti delle superiori. Hanno partecipato numerosi e tutti hanno mostrato grande interesse per l’argomento ponendo domande, condividendo riflessioni. Una grande soddisfazione trovare giovani attenti a capire come poter apprendere le modalità per sviluppare l’empatia, diventare persone inclusive e attente ai bisogni degli altri. C’è voglia di crescere , di capire, acquisire strumenti per interagire meglio con i propri compagni, adulti. Soprattutto per poter disporre di quelle conoscenze che consentano di dialogare meglio, capire e farsi capire. E’ un segnale importante, soprattutto nelle scuole, dove bisognerebbe inserire sempre più spesso momenti di discussione, dialogo per parlare dell’importanza di essere persone empatiche.

Un’educazione emotiva

Nei paesi nordici lo fanno già da tempo. Ci sono paesi, come la Danimarca, dove nelle scuole hanno inserito già dal 1993 l’empatia come materia di scolastica. Si studia in classe dai 6 ai 16 anni. La motivazione risiede proprio nel fatto che l’empatia aiuta a costruire relazioni, prevenire fenomeni come il bullismo. Significa crescere persone che sapranno essere, da adulti, persone inclusive, tolleranti e accoglienti. E’ un investimento sul futuro. Si tratta di una forma di educazione emotiva e sentimentale, importante da apprendere fin da piccoli. Significa capire l’alfabeto delle emozioni per potersi esprimere al meglio e instaurare relazioni serene.

I 3 tipi di empatia

Come detto, l’empatia è una caratteristica dell’intelligenza emotiva, che a differenza dell’intelligenza misurabile con il quoziente intellettivo, si può coltivare e accrescere. L’intelligenza emotiva ha, infatti, basi genetiche per il 50% legate al gene responsabile dell’attivazione dei trasportatori di seratonina , l’ormone dell’apprezzamento e del buon umore e al gene della dopamina, l’ormone della ricompensa e della motivazione.
Il restante 50% è imputabile a fattori ambientali. Ed è qui che può essere appresa, accresciuta. Se siamo educati in un ambiente ricco di stimoli emotivi possiamo compensare le carenze genetiche. Per questo è possibile coltivare anche l’empatia, che Goleman divide in 3 tipi.

  1. Empatia cognitiva : significa che siamo in grado di comprendere come l’altra persone pensa e vediamo il suo punto di vista.
  2. Empatia emozionale: si riferisce a chi sente dentro di sé le emozione dell’altra persona.
  3. Empatia compassionale : significa che non solo comprendiamo come la persona vede le cose e si sente in quel momento, ma anche che si voglia aiutarla. Spinge all’agire.

Come coltivare l’empatia

Come abbiamo visto l’empatia è come un muscolo che può essere sviluppato. Prima di vedere come poterlo allenare, proviamo a rispondere a queste 3 domande, che rappresentano una sorta di autoanalisi del nostro livello di empatia.

1.Mi soffermo a comprendere i miei sentimenti e quelli degli altri?

2. Prendo decisioni sulla base di punti di vista differenti?

3. Mostro chi sono e ciò che provo a me stess* e a gli altri?

Dopo essersi soffermati a riflettere, di seguito qualche spunto per diventare persone più empatiche.

Allenarsi all’ascolto attivo – Ascoltare non vuol dire semplicemente “stare a sentire”, ma significa prestare attenzione a tutti gli aspetti della comunicazione del proprio interlocutore a partire dai bisogni che questi esprime, con l’intenzione di entrare nel suo mondo, sospendendo eventuali pregiudizi e giudizi di valore.

Sviluppare interesse nei confronti di persone che non si conoscono – Cercare di entrare in connessione con persone che non sono parte della nostra cerchia di persone. Mostrare attenzione nei confronti di persone nuove, possibilmente diverse dalla nostra storia, cultura.

Esprimere apprezzamento e gratitudine – Mostrare il proprio compiacimento e fare complimenti nei confronti delle persone che ci circondano è senza dubbio un ottimo modo per ben disporre e mettere le persone a proprio agio. Significa mostrare interesse e accoglienza. Sottolineare la nostra riconoscenza è un altro, potente modo per mettere al centro il nostro interlocutore.

Essere persone empatiche significa poter instaurare relazioni serene, equilibrate e felici. Vuol dire essere potenti magneti che attraggono le persone. Un’energia di cui abbiamo sempre più bisogno.

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Cancelliamo il concetto di fallimento

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Bisognerebbe bandire dal vocabolario la parola fallimento. Non significa non voler affrontare il tema, come se nascondessimo la polvere sotto il tappeto. Che cosa significa fallimento? Esiste un concetto universale di fallimento? Se prescindiamo dal termine giuridico che attiene allo stato di insolvenza di un imprenditore, sulla Treccani la definizione di fallimento è : “Esito negativo, disastroso, grave insuccesso: riconoscere l’inutilità dei proprî sforzi, l’impossibilità e incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione.”

Un concetto negativo in sé

La descrizione data dalla Treccani ne mette in risalto la connotazione negativa. Addirittura prefigura la rinuncia all’azione. Una condanna all’inazione perché, considerata la gravità della situazione , vi è una rinuncia totale all’agire. E’ dunque ovvio che chi pensa di incappare in un errore così grave, pensi di aver commesso un’azione che non può non andare incontro ad una reprimenda senza sconti. Ma chi decreta cosa è fallimento o no? La riposta sicuramente è nei modelli della nostra società che il più delle volte, al contrario, è prodiga nel fornire esempi di successo. Anche sul concetto di successo ci sarebbe da discutere. Se dunque, è questo il paradigma, la nostra vita non si uniforma a cliché e modelli di vita universalmente definiti di successo, si è destinati all’insuccesso e al conseguente fallimento. Insuccesso = fallimento.

La paura dell’errore

Essere diversi e non assuefarsi al pensiero dominante può trasformarsi, soprattutto per chi è ancora in una fase di evoluzione personale, in una fonte di grande frustrazione. Recenti fatti di cronaca, purtroppo, come il caso della studentessa diciannovenne dello Iulm, hanno messo in luce l’epilogo tragico a cui il senso di frustrazione può portare. Perché abbiamo paura del fallimento? Perché abbiamo paura di sbagliare? Le risposte sono complesse e attengono soprattutto al nostro bisogno di essere accettati, apprezzati, amati. Ma essere apprezzati per come siamo, senza il bisogno di uniformarsi a canoni che non ci appartengono , è sicuramente il punto di arrivo per uscire dalla sindrome del fallimento. Siamo persone uniche, speciali, con tutte le nostre forze e debolezze.

Imparare ad amarsi e accettarsi

L’accettazione di sé, la consapevolezza del nostro valore a prescindere dall’uniformarsi a criteri che altri vorrebbero scegliere per nostro conto, è un percorso di crescita complesso, ma che porta ad una liberazione interiore impagabile e di grande soddisfazione. Imparare a capire che da ogni errore possiamo rialzarci, apprendere e crescere è una grande risorsa. Impariamo a osservare e guardare eventuali cedimenti come un insegnamento per conoscerci e metterci alla prova. La crescita passa dalla caduta e dalla capacità di rialzarsi . E’ la resilienza, termine ormai usato e abusato, ma è proprio così. Considerare l’errore, lo sbaglio come un maestro da cui imparare per crescere ed evolversi. Senza contare che questo atteggiamento porta con se sé anche un altro importante insegnamento : assumersi la responsabilità delle proprie azioni. La responsabilità è un concetto fondamentale per la crescita personale . Ci aiuta a capire che siamo noi gli artefici del nostro destino, siamo noi a direzionare la nostra vita verso quello che è per noi importante. Cadere aiuta a rialzarsi e capire qual è la direzione giusta da intraprendere. Siamo d’accordo allora che la parola fallimento deve essere bandita dal nostro vocabolario? E se al suo posto dicessimo ” Questa non è la strada giusta per me, ho infinite altre possibilità tra cui scegliere. E’ nella mia facoltà e una mia responsabilità scegliere”? Decisamente meglio, il fallimento attiene quindi solo e soltanto al diritto civile.

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Grandi dimissioni: una nuova consapevolezza

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” Grandi dimissioni: 1,6 milioni in fuga dal lavoro in 9 mesi”. E’ Il tema all’ordine del giorno, è la notizia di cui si parla spesso sui giornali e nei dibattiti televisivi. Quiet quitting in inglese, grandi dimissioni nella nostra lingua. E’ una tendenza nata prima negli Usa, quindi negli altri paesi e ora anche da noi in Italia, dove si registra un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021.

Val la pena di analizzare il fenomeno perché è lo specchio di un cambiamento, un nuovo paradigma che si affaccia nella nostra società. Senza scomodare i sociologhi, il fenomeno delle “grandi dimissioni” inizia da lontano, ma dopo la pandemia ha preso vigore e si va allargando sempre di più. Forse il concetto ” nulla sarà più come prima” invocato durante i mesi del lockdown, ha lasciato le sue conseguenze nel modo di vedere la nostra vita lavorativa.

Lo smart working ha cambiato l’approccio al lavoro

Le ragioni del fenomeno delle grandi dimissioni sono molteplici. Vediamo di esaminare le principali.

La volontà di trovare il giusto equilibrio tra vita personale e professionale. Sono cambiate le priorità. L’equilibrio tra vita affettiva e lavorativa è diventato un punto d’arrivo imprescindibile. Complice sicuramente il lavoro in smart working, una modalità più flessibile, ci si è resi conto che la nostra giornata non è fatta solo di riunioni interminabili, di una vita frenetica dove i tempi sono scanditi da altri e non da noi stessi, ma anche del piacere di stare in famiglia, con gli affetti più cari e del fatto di poter coltivare le proprie passioni. La qualità della propria vita è imprescindibile e diventa un bene a cui non vogliamo più rinunciare.

Generazioni a confronto

Il posto fisso non è più un punto d’arrivo. Qui gioca senz’altro il differente approccio culturale delle diverse generazioni : i boomers, i millenial e la generazione Z. Questi ultimi, soprattutto, hanno interiorizzato la necessità di dare maggiore attenzione al proprio benessere. Le loro scelte sono prima di tutto orientate alla ricerca di una maggiore qualità della propria vita. Da questo discende il desiderio di cambiare spesso luoghi di lavoro. Certo, il rovescio della medaglia è la mancanza di fidelizzazione all’azienda, che era stato uno dei capisaldi delle generazioni dei boomers. Ma anche su questo fronte i responsabili aziendali dovranno cercare di trasformare il frequente turn over del loro personale in forza propulsiva grazie all’innesto di nuove idee e approcci. Insomma trarre da un problema un’opportunità.

Grandi dimissioni = ricerca della propria crescita

Le grandi dimissioni sono anche una spia della volontà di mettersi in discussione per trovare altre opportunità di crescita non solo professionale, ma anche personale. Significa avere il coraggio di mettersi in ascolto dei propri bisogni più profondi. Una forma di ascolto di sé per poter esprimere al meglio la propria natura. Se pensate di essere arrivati in una fase della vostra esistenza nella quale la vostra realizzazione non deve più essere solo nella vostra vita professionale, se non è nella “carriera” che pensate di dovervi esprimere al meglio , ecco che, forse, siete forse arrivati al momento di girare pagina. La consapevolezza che l’espressione del sé può avvenire anche attraverso altri canali che non sono solo quelli professionali. Certo il bisogno di avere una sicurezza materiale ed economica sono alla base, ma se poi la nostra strada fosse nello scegliere uno stile di vita completamente diverso, magari in un altro luogo anche fisico? Se una vocina interiore vi sta dicendo che è arrivato il momento di cambiare, di scegliere una nuova vita, fermatevi ad ascoltarla.

Le powerful question

Se vi sembra giunto il momento di fare delle scelte, provate a rispondere a queste brevi domande. Come sempre prendete carta e penna: fissare nero su bianco i vostri pensieri aiuta a fare maggiore chiarezza.

  1. Come mi sento quando mi sveglio al mattino?

2. Quando penso di andare in ufficio che cosa provo?

3. In quale luogo mi sento davvero seren*?

4. Che lavoro mi sarebbe piaciuto fare da piccol*?

5. Qual è la mia grande passione?

Concludiamo il nostro breve esercizio attraverso un’attività creativa, che permette di mettersi in contatto con la parte più profonda di noi. Realizziamo una visual board, un tipico esercizio di Art Coaching. Prendiamo un cartoncino 50 x70 e attraverso i colori ( pastelli, pennarelli, matite colorate ciò che abbiamo a disposizione) o attraverso dei collage utilizzando dei ritagli da giornali, disegniamo quella che vorremmo fosse la nostra vita tra 2 anni. Per quest’attività cerchiamo di connetterci con la parte più profonda ed emozionale, senza lasciarci condizionare dalla nostra mente. Il risultato sarà sorprendente davvero. Fra 2 anni, riprendete la vostra visual board e vedete se la vostra nuova vita vi corrisponde. Potrete davvero sorprendervi.

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Colora il tuo futuro

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“Colora il tuo futuro” è stato il titolo dell’ultimo workshop di ArtCoaching dell’anno. Come da tradizione, la fine dell’anno è l’occasione per tracciare un po’ il bilancio di quanto abbiamo vissuto nel corso del 2021. E’ il momento in cui si analizza quanto è stato fatto: si verifica se le attese e gli obiettivi che avevamo espresso all’inizio dell’anno si sono verificati.

Flessibili e resilienti

Il più delle volte non è così: l’imprevisto è sempre in agguato. Le circostanze esterne- e negli ultimi due anni le circostanze hanno avuto un nome che abbiamo quasi paura a pronunciare – hanno cambiato il corso dei nostri progetti. Abbiamo imparato però a gestire l’emergenza. Siamo stati flessibili e siamo riusciti a cambiare in corsa quel progetto, quell’iniziativa che avevamo in animo di realizzare. Il più delle volte il bilancio dell’anno concluso ci porta a riconoscerci più flessibili, adattabili. L’anno scorsa la parola più in voga e utilizzata è stata resilienza. Quest’anno la resilienza è diventata una caratteristica insita in noi. Siamo intrinsecamente resilienti. E’ diventato un tratto caratteriale. E’ entrato nel nostro Dna. Il futuro sarà abitato solo da resilienti. Ma qual è la parola dell’anno 2021? Ce lo siamo chiesto durante il nostro workshop.

La parola dell’anno

Sicuramente il vocabolario è stato più vario quest’anno. Le parole magiche sono state equilibrio, condivisione. Ci siamo assuefatti alla situazione circostante, che da eccezionale è diventata ormai normale. Per poter affrontare i marosi e le tempeste occorre essere in equilibrio. E’ come essere su una tavola di surf e cercare di solcare le onde senza mai cadere. Un equilibrio precario, ma pur sempre equilibrio. Questo grazie alla consapevolezza di sé, la capacità di non farsi sopraffare dalle circostanze esterne, come se avessimo una bussola interiore che ci indica sempre la direzione che dobbiamo intraprendere. Essere centrati e allineati. Abbiamo imparato ad affrontare il futuro con questa nuova consapevolezza.

Condividere

L’altra parola magica che sicuramente ha caratterizzato il 2021 è stato condivisione. Dopo il forzato distanziamento a cui siamo stati costretti l’anno scorso e nella prima parte di quest’anno, abbiamo apprezzato ancora di più il valore degli affetti, dello stare insieme. Da incalliti individualisti abbiamo imparato ad apprezzare la collettività. Abbiamo apprezzato il valore degli altri. Abbiamo imparato a non dare nulla di scontato. Abbiamo cominciato ad apprezzare quelle situazioni che credevamo fossero la norma e invece non lo erano. Ogni giorno dobbiamo essere consapevoli che è un dono. Dobbiamo coltivare la gratitudine quotidianamente. Essere consapevoli di quello che abbiamo, concentrandoci sulla presenza e non sull’assenza.

Un esercizio di consapevolezza

Provate anche a voi a fare lo stesso esercizio che abbiamo fatto noi ieri durante il workshop: quale parola ha caratterizzato il vostro anno? Per i più creativi la domanda potrebbe anche essere “se fosse stato un film l’anno che si sta concludendo, che film sarebbe stato?” E’ il gioco del “se fosse” che abbiamo fatto tutti da bambini. Lasciar andare l’immaginazione ci aiuta a connetterci con il nostro io più profondo. Uscire dagli schemi mentali ci porta a essere più spontanei, più creativi. Diventare per un po’ bambini ci aiuta a liberarci dai condizionamenti. Possiamo mettere le ali alla nostra fantasia. Provateci, sarà piacevole. Durante il nostro workshop ci siamo liberate e abbiamo dato libero sfogo alla creatività e i risultati sono stati davvero sorprendenti. Liberi dal lasciarsi andare…

Cosa ci riserva il futuro

Se è vero che “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, è nel visualizzare il proprio futuro in maniera creativa che possiamo gettare le basi per la creazione di ciò che ci sta veramente a cuore. Provate ancora una volta a trare ispirazione da un film o anche solo dal titolo per iniziare a visualizzare ciò che vorreste davvero realizzare. Mettetevi in ascolto del vostro istinto, della vostra anima per capire cosa vi fa stare veramente bene. Sarà la bussola che vi indicherà la strada da percorrere. Per essere artefici del vostro destino e per colorare il vostro futuro. Buon 2022 di consapevolezza a tutti.

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Il potere del “noi”

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Avete mai provato a pensare quante volte durante il giorno pronunciate il pronome “noi” e quanto “io”‘?

Le ricerche in campo psicologico dimostrano che l’uso dei pronomi “noi” è associato a relazioni più felici e a una migliore risoluzione dei conflitti rispetto a quando ci concentriamo su “me” e “te”.

Il contesto storico in cui stiamo vivendo e la pandemia ci ha insegnato una grande verità” nessuno di salva da solo”. Lo vanno ripetendo i leader illuminati che hanno affrontato in maniera più efficace la situazione dal punto di vista sanitario.

“Nessun uomo è un isola”

La poesia di John Donne sull’importanza di rimanere uniti di fronte alle avversità ne è un’ulteriore testimonianza. Ma torniamo all’uso del “noi”. L’utilizzo del pronome plurale dimostra ancora una volta il potere delle nostre parole e del nostro linguaggio nell’influenzare la nostra prospettiva e il nostro pensiero. Quando scegliamo le parole giuste, possiamo influenzare la nostra mente in modo potente. Pensiamo al nostro dialogo interiore e riflettiamo sull’utilizzo delle parole e al loro significato. Per chi esercita la professione di Coach è fondamentale ascoltare e prestare attenzione all’utilizzo delle parole stesse. Le parole esprimono il nostro pensiero, il nostro sentimento, le nostre emozioni. Prestate attenzione al modo in cui vi esprimete. A volte basta una parola per cambiare completamente il tono di ciò che stiamo comunicando. E questo ovviamente si riverbera sulle nostre relazioni. Un utilizzo delle parole attento e rispettoso si riflette nella qualità delle nostre relazioni. Alzare i toni, urlare non favorisce certamente il dialogo, lo scambio, la comprensione.

Chi dice noi ha relazioni più felici

In un’analisi pubblicata sul Journal of Social and Personal Relationships, i ricercatori hanno analizzato 30 studi su quasi 5.300 partecipanti e hanno scoperto che le coppie che spesso dicono “noi” hanno relazioni di maggior successo e sono complessivamente più felici e più sane.

In totale, i ricercatori hanno esaminato cinque diverse misurazioni: risultati della relazione (soddisfazione, durata dell’unione), comportamenti relazionali (interazioni positive vs. negative osservate), salute mentale, salute fisica e comportamenti sanitari (quanto bene i partecipanti si prendono cura di se stessi) .

La leadership ragiona con noi

Non è solo nelle relazioni di coppia che il passare dall’esprimerci ( e comportarci) in termine di “noi” porta i suoi benefici. Lo ritroviamo in tutti i rapporti: di amicizia, in famiglia, sul lavoro.

Nei colloqui di lavoro, uno studio pubblicato dall’Institute of Electrical and Electronic Engineers ha scoperto che l’uso di “Noi” invece di “Io” era un potente predittore di candidati valutati in modo più favorevole, compreso l’essere visti come più positivi e amichevoli. Nei ruoli di leadership, uno studio pubblicato su Developmental Psychology ha scoperto che l’uso di un linguaggio incentrato sul gruppo come “Noi” prevedeva chi sarebbe stato eletto come leader. L’uso di “noi” implica un legame di gruppo: una partnership, una squadra, una famiglia, una tribù, una comunità. Quando usiamo “noi” , colleghiamo automaticamente i nostri obiettivi, valori e intenzioni ad altre persone che riteniamo essere nella nostra stessa condizione. Nessun si salva da solo, appunto. Del resto la nostra natura di animali sociali ci ha portato ad evolverci e a crescere.

Il potere del noi accresce l’empatia

Cerchiamo di analizzare le ragioni del valore dell’esprimerci e agire in termini collettivi e non individuali. Il potere del “noi” aiuta a creare un senso di:

Identità condivisa

quando usi il termine “noi”, stai facendo sapere alle persone che fanno parte del tuo gruppo. Questo sviluppa un potente senso di appartenenza e identità collettiva (che si tratti di una famiglia, un’azienda, una squadra sportiva, una religione o nazione). I leader di successo sono in grado di creare nuove identità ed estendere la loro definizione di “noi” per portare nuove persone nella loro cerchia di empatia. E’ una delle principali caratteristiche dell’intelligenza emotiva essere empatici: mettersi nei panni degli altri, comprendere le situazioni e gli stati d’animo altrui. Significa sapere creare un ambiente armonico, fatto di ascolto e comprensione. Non c’è una frattura fra me e te. Ci siamo noi.

Obiettivi condivisi

Il sintonizzarsi sul “noi” aiuta le nostre relazioni perché consente alle persone di percepire che si sta lavorando insieme per raggiungere il medesimo obiettivo o risolvere un problema. Dire “Dobbiamo risolvere questa situazione ” o “Dobbiamo prendere una decisione su questo argomento ” è molto più amichevole e cooperativo che dire “Devi risolvere questa situazione ” o “Devo prendere una decisione su questo argomento.” Il “noi” implica il lavoro di squadra e uno sforzo e investimento reciproco da parte di tutti.

Risultati condivisi

Il “noi” non riguarda solo la condivisione dei problemi, ma anche la condivisione dei risultati e dei momenti piacevoli. In generale, le coppie che impiegano più tempo per riflettere su ricordi positivi e condividere nuove esperienze insieme, lavorare su progetti comuni tendono ad essere più felici e più sane, e pensare in termini di “noi” enfatizzerà questa verità. Condividere i successi con il proprio partner, con chi ci sta vicino rafforza la relazione e il loro credito, soprattutto se si fa sapere loro che non si sarebbe potuto raggiungere il risultato senza la loro presenza. Essere felice per il successo di chi ci sta accanto come se fosse nostro: fare i complimenti alle persone, congratularsi e far sapere loro che ne siamo orgogliosi . Il successo è il più delle volte frutto di una combinazione di molte persone che lavorano insieme, quindi il “noi” aiuta a evidenziarlo e a sottolineare quella crescita e successo condivisi.

Spostare il focus da sè agli altri

Lasciar andare “me” – Concentrarsi troppo su “me” è spesso un segno di depressione. Il fatto di continuare a rimuginare su se stessi, sui propri problemi non ci fa crescere e progredire. Rimanere troppo concentrarsi su stessi può, alla lunga, portare ad una fossilizzazione. Per rompere questo schema dobbiamo uscire da noi stessi e concentrarci su cosa possiamo fare per aiutare gli altri. Questo è uno dei motivi per cui è stato dimostrato che avere una mentalità generosa, come compiere atti di gentilezza e volontariato, migliora la salute mentale. La gentilezza ci dà l’opportunità di spostare la nostra attenzione lontano da “me” e verso il “noi” più grande dell’umanità.

Parlare più “noi” ha molti potenziali vantaggi, ma il più importante è che cambia radicalmente il modo in cui vediamo noi stessi e le nostre relazioni nel complesso.

La natura umana è interconnessa. Ogni individuo è in parte definito dalle relazioni che lo circondano (famiglia, amici, persone care, colleghi, conoscenti, ecc.), e in fondo le nostre vite sono tutte influenzate dalla qualità di queste relazioni.

“Nessun uomo è un’isola” è una verità fondamentale, che tu possa vedere il tuo “noi” o meno.

Per costruire felicità e significato nella nostra vita, spesso abbiamo bisogno di costruire relazioni strette e profonde con gli altri. Ciò ci impone di vedere il nostro benessere come sovrapposizione con il benessere degli altri.

Una volta compresa questa verità fondamentale, dire “noi” inizia ad essere più naturale oltre che dimostrare che:

“Il valore di una persona risiede in ciò che è capace di dare, non in ciò che è capace di prendere” Albert Einstein

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Come liberarsi dal bisogno del controllo

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Quante volte ci siamo sentiti sopraffatti dal bisogno di controllare tutto e tutti? Il tema è già stato affrontato più volte. Eppure la realtà ci pone di fronte quasi quotidianamente a persone che non riescono a vivere in maniera serena, senza dover agire con questo bisogno del controllo spesso esasperato.

Per prima cosa occorre chiedere perché si agisce così? Le ragioni sono molteplici, ma la risposta più diffusa è l’incapacità di poter far fronte agli imprevisti, la non capacità di misurarsi con situazioni inaspettate. Esercitare il controllo significa avere sempre tutto…sotto controllo, appunto. Pensare che tutto si possa svolgere e realizzare secondo quanto abbiamo programmato ci dà sicurezza, ci dà la percezione che tutto si possa svolgere senza imprevisti. L’incapacità di gestire l’imprevisto è sempre sintomo di insicurezza, genera stress. Spesso è la spia di una scarsa autostima.

Controllo ergo non sbaglio

Non sapersi misurare con quanto crediamo di non conoscere, la paura dell’ignoto è ciò che spesso alimenta questo nostro desiderio di esercitare il controllo. Come se nella nostra testa volessimo immaginare, ripercorrere quello che dovrebbe succedere. Come in una rappresentazione teatrale, dove l’attore prova e riprova la stessa scena. Ma lì esiste una piéce, un autore che ha previsto come la scena da copione debba svolgersi. Ma la vita – fortunatamente- non è così. Esistono gli imprevisti, le situazione inaspettate. La nostra esistenza è piena di colpi di scena, a volte fortunati, a volte meno. Ma il sapersi misurare e il sapersi adattare è il bello della vita stessa. Vorremmo forse un’esistenza in cui l’esito finale fosse già conosciuto? Vogliamo già conoscere come va a finire il nostro film? La risposta è no. Dobbiamo invece poterci organizzare come se avessimo a disposizione una cassetta degli attrezzi, uno per ogni situazione davanti alla quale ci si trovi. Uno per ogni guasto che si possa palesare. Un cacciavite, una chiave inglese per qualsiasi emergenza…

La libertà di trovare la soluzione

Non pensate che essere attrezzati a gestire ogni imprevisto sia sinonimo di grande libertà? Significa non essere ingabbiati nella schiavitù della paura. La paura di sbagliare. Di non essere all’altezza. Sapere che dentro di noi ci sono tutte le risposte e le risorse per affrontare ogni circostanza, lo strumento giusto al momento giusto, ci fa sentire consapevoli della nostra forza interiore. Superare la paura di commettere errori. Perché cos’è l’errore? Che cosa ci spaventa tanto? Il giudizio degli altri ? La nostra percezione di non essere all’altezza? E per chi? per noi? Per gli altri? Liberiamoci da questa paura. Spesso dagli sbagli si impara. Quindi perché avere paura dell’errore? Anzi, ci aiuta a migliorarci e ad evolverci. Sbagliando si impara, lo dice anche il proverbio.

Imparare dagli errori

Quindi ben venga l’errore, se ci può aiutare a superare una nostra resistenza, un nostro limite. Ci insegna ad essere flessibili. Se tutti i giorni ripetiamo ossessivamente le stesse azioni, senza introdurre mai nulla di nuovo, ci sentiamo appagati? Forse plachiamo la nostra ansia momentanea, ma poi ci atrofizziamo. Non cresciamo, non evolviamo. Se, viceversa, ci troviamo di fronte ad una nuova circostanza, possiamo mettere a frutto la nostra capacità di problem solving. E una volta trovata la soluzione, la nostra autostima ne trae giovamento. E’ un circolo virtuoso: affronto il nuovo, trovo la soluzione, sono fiero di me. E sono di nuovo pronto ad affrontare una nuova sfida. Lanciarsi in nuovi progetti, in nuovi modi di affrontare le situazioni ci permette di uscire da quella zona di comfort nella quale ci siamo confinati. Il bisogno di controllo spesso è anche un modo per boicottarci. Non volerci mettere alla prova proprio per rimanere confinati nel nostro cantuccio. Aprirci al mondo significa metterci anche in ascolto di noi stessi. Significa prendere consapevolezza delle nostre capacità.

Le aspettative disattese

Se vogliamo liberarci dal bisogno del controllo, dobbiamo anche liberarci dalle nostre aspettative. Sono loro spesso le nostre gabbie. Sono diverse le aspettative che spesso noi nutriamo:

-nei confronti di noi stessi,

-nei confronti degli altri,

-nei confronti della vita in generale.

Nutrire aspettative significa essere condannati ad una vita dove il più delle volte sono disattese. E questo non può che generare frustrazione e spesso rabbia. Innesca un circolo vizioso, dal quale è difficile uscire . Controllo affinché le mie aspettative si possano realizzare, non si realizzano, mi sento frustrata, allora aumento il mio controllo. Un modo per cercare di uscire da questo meccanismo perverso è chiedersi e descrivere dettagliatamente quali sono le nostre pretese, in tutte 3 le aree che abbiamo elencato. Quando capiremo che le nostre aspettative ci tolgono energia e benessere, quando avremo capito che la soluzione è lasciare andare, accogliere ciò che la vita ci può offrire, senza esercitare alcun tipo di controllo, allora saremo veramente liberi di accettare con gioia l’inaspettato. Perché come dice Alejandro Jodorowsky:” Il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei”

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Scopri il tuo ikigai

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“Scopri il tuo Ikigai” è stato il titolo del nostro workshop di ArtCoaching. Il tema non è certo nuovo, ma occorre ogni tanto risintonizzarsi su ciò che ci rende realmente felici e ci dà lo stimolo per alzarci tutte le mattine con entusiasmo. L’ikigai (生き甲斐) (iki-vivere, gai-ragione) è l’equivalente giapponese di espressioni italiane quali “ragione di vita”, “ragion d’essere”. L’argomento dell’Ikigai è stato anche l’occasione per riflettere non solo sulle nostre scelte, ma sulle non scelte, una riflessione su quello che talvolta non abbiamo fatto per timore, paura di non essere all’altezza. Qualche volta la nostra non-scelta è stata anche dettata da quelle che, nel corso del workshop, ho definito le “sirene dell’amore”. A volte, prima di metterci ad ascoltare la nostra voce interiore , ci poniamo in ascolto di istanze di coloro che amiamo, dei componenti della nostra famiglia, ad esempio. Quante volte ci è capitato di volerli assecondare per paura di contraddire i sogni degli altri e non i nostri? Il nostro bisogno di essere amati, gratificati passa davanti a tutto e spesso calpesta la nostra passione. Non abbiamo voluto o saputo seguire il nostro Ikigai per paura di non essere compresi e amati.

Mettersi in ascolto

Certo crescendo questo bisogno di avere l’appoggio incondizionato viene meno. Diventiamo adulti e abbiamo gli strumenti per capire che se noi siamo felici, sereni e appagati, lo sono anche coloro che ci vogliono veramente bene. Sempre semplice, ma è un concetto che fatichiamo a fare nostro. Temiamo che la nostra felicità possa passare dall’infelicità dell’altro. Ma è solo un tentativo di autosabotaggio. E’ una credenza limitante. Un alibi per non uscire dalla nostra zona di comfort. E per non responsabilizzarci. Scegliamo di avere un capro espiatorio, qualcuno al quale attribuire la causa della nostra non felicità o realizzazione. E’ la condizione della vittima. Lo spiega bene Selene Calloni Williams nel suo libro “Ikigai- Ciò per cui vale la pena vivere”, scritto in collaborazione con Noburi Okuda Do. Gli autori spiegano che per poter raggiungere la nostra piena realizzazione dobbiamo intraprendere un percorso a tappe che ci porta ad una trasformazione alchemica, che consiste in un percorso di trasformazione interiore che ci porta ad identificarci con la nostra anima e a trovare il nostro ikigai.

Lo stadio della vittima

La prima tappa di questo percorso è uscire dalla gabbia del vittimismo dove riteniamo che tutto “accada a me”. Proviamo a ragionare su tutte le volte in cui ci siamo sentiti vittima nel corso della vita. Analizziamo tutte le volte in cui abbiamo attribuito a circostanze esterne le nostre disavventura. E’ la sindrome di Calimero. Tutto accade a me perché sono piccolo e nero, come recitava la reclame ( siamo negli anni 60-70 anni e si chiamava proprio così) di Carosello, che senz’altro i boomers o gli esponenti della generazione X si ricordano…E’ capitato almeno una volta di tutti.

I condizionamenti

La seconda tappa per poter prendere piena consapevolezza di ciò per cui vale la pena vivere, per essere nel flow, dal momento che è questo il sentimento dell’ikigai, provare il massimo piacere perché si è in linea con la propria passione, consiste nel domandarsi che cosa abbiamo voluto in passato perché in linea con i valori famigliari, sociali. In una parola il condizionamento che ci ha portato a fare scelte che non erano in linea con la nostra anima. Troppo spesso le nostre decisioni sono state dettate da scelte altrui. Lo abbiamo visto. Le sirene dell’amore ci hanno spesso allontanato dal nostro Ikigai. La consapevolezze è il primo passo per prenderne coscienza e fare la scelta adeguata. Bisogna liberarsi dalle manipolazioni, dai ricatti morali e affettivi. Ikigai significa fare esattamente ciò per cui la nostra anima è venuta. James Hillman ce lo insegna nel suo “Codice dell’Anima”.

La nostra missione

E’ questo ciò a cui dobbiamo ambire. Individuare la nostra passione, capire che cosa ci appaga totalmente, che non ci rende mai stanchi e che potremmo fare per ore senza stancarci mai. Provate a a chiedervi quale sia il vostro grande ideale. Non abbiate paura di ammetterlo a voi stessi. Lo possiamo trovare anche in tarda età. Non importa. Ciò che è fondamentale è poterlo capire per poterlo perseguire e mettere in atto.

La paura di non essere all’altezza

Cosa ci impedisce di mettere in pratica, una volta individuato, il nostro ideale? Spesso la paura di non farcela, l’insicurezza di non essere abbastanza. Scriviamo nero su bianco allora quelle che sono le nostre paure, i nostri timori. Prenderne consapevolezza è un modo per poterle affrontare con determinazione. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura” diceva Sun Tzu nell’Arte della Guerra. Guardare il nemico negli occhi significa essere pronti per affrontarlo.

Disegna il tuo ikigai

Superati questi stadi: la vittima, ciò che si perseguiva a causa di condizionamenti esterni, l’individuazione del nostro ideale, il superamento delle paure, si è pronti alla trasformazione: diventare ciò che vogliamo essere. Perché l’ikigai ci consente di essere, non di avere. Esprime la nostra vera natura. Ci allinea al nostro io più profondo. Una volta individuato, così come abbiamo fatto nel nostro bellissimo workshop, esprimiamolo anche visivamente. Realizziamo il simbolo del nostro Ikigai. Diamogli una forma, oltre che una sostanza. Esprimiamo così “l’essenza nella forma”.

Perché la visualizzazione è molto potente. E durante i nostri workshop di ArtCoaching lo sappiamo bene.

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Perché è importante essere persone empatiche

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Provate a rispondere a queste 3 semplici domande:

  1. Mi soffermo a comprendere i miei sentimenti e quelli degli altri?
  2. Quando prendo decisioni, soppeso i punti di vista degli altri?
  3. Presto piena attenzione quando qualcuno mi parla?

Bene, se avete risposto positivamente a queste 3 domande siete delle persone empatiche. Il che è un bella cosa, specie in questi tempi, nei quali come viene più spesso ripetuto “Nessuno si salva da solo”. Mai come in questo ultimo anno il valore della collettività è stato esaltato e ha manifestato tutta la sua importanza. Siamo tutti parte di un insieme.

L’importanza della connessione

Questa mattina ho imparato, grazie alla mia amica Sandra, una nuova parola : Ubuntu, un termine africano che significa “Io sono perché noi siamo” . E’ quello che si è sentito dire un antropologo, che ha fatto fare un gioco a dei bambini di una tribù africana: dopo aver posizionato un cesto di frutta sotto un albero, aveva invitato i ragazzini a correre verso l’albero. Chi fosse arrivato prima, si sarebbe aggiudicato il gustoso premio. Ebbene, con sua grande sorpresa, i bambini non si sono scatenati in una corsa individuale, ma si sono presi tutti per mano, hanno camminato verso l’albero. Allo stupore dell’antropologo, i bambini hanno appunto risposto. “Ubuntu”. Il gioco non aveva scatenato la competizione, bensì il senso collettivo di camminare insieme per raggiungere uniti il risultato. Una bella favola moderna, anche se fortunatamente era reale. I ragazzi hanno dimostrato di essere persone empatiche. Tutti connessi.

I 3 gradi di empatia

Possiamo essere empatici con gradi diversi di intensità. Lo sapevate?

  • Empatia cognitiva
  • empatia emozionale
  • empatia compassionevole

Non è detto che tutti abbiamo lo stesso modo di saperci mettere in connessione con gli altri. Possiamo essere empatici perché cogliamo l’importanza degli altri, oppure possiamo esserlo mettendoci con più sentimento in ascolto degli altri. Infine, il massimo grado è mettersi nei panni degli altri, comportandoci in maniera piena, consapevole, attivando gesti di aiuto e collaborazione. Insomma essere “ubuntu”.

Coltivare l’empatia

Se empatici si nasce, possiamo però anche cercare di sviluppare atteggiamenti che ci portino ad essere più connessi con gli altri. Connessi in maniera compassionevole, appunto. Essere empatici non è solo mettersi nei panni degli altri, generando senso di gioia da parte dell’oggetto dell’empatia. Fa bene anche a noi che la pratichiamo: in primis genera apertura e fiducia nei nostri confronti. Consente di sviluppare relazioni solide e profonde fra le persone. Avere buone relazioni è una delle chiavi per vivere in maniera serena e appagata. Essere circondati da sentimenti di amore, attenzione, fiducia è profondamente gratificante, siete d’accordo? Essere empatici, aiutare gli altri ci aiuta anche a superare stati emotivi negativi, perché spostiamo il focus da noi stessi a qualcun altro. Significa togliere potere all’emozione negativa. Fare bene, fa bene, lo abbiamo ripetuto più volte.

Qualche consiglio utile

Come accrescere l’empatia e la connessione? Qui sotto trovate qualche consiglio utile.

  1. Sviluppa interesse nei confronti di qualcun che non conosci
  2. Chiedi un feedback sulle tue azioni e comportamenti
  3. Diventa un osservatore di persone
  4. Identifica e supporta una causa benefica
  5. Esprimi il tuo apprezzamento e gratitudine

La gestione dei conflitti

Essere persone empatiche aiuta anche a superare e gestire i conflitti. Vedere le circostanze da una prospettiva differente, non necessariamente la nostra, ci aiuta a vedere la situazione in maniera oggettiva, ancora senza il filtro dell’emozione. Provate a pensare ad una situazione nella quale voi e un’altra persona avete avuto dei dissapori. Esaminare la situazione dal solo proprio punto di vista non consente di vedere che ci possono essere altre soluzioni. Diventate osservatori esterni e esaminate le posizioni dei 2 contendenti. Sicuramente vi farà intravedere soluzioni inaspettate. Non è detto che la posizione del vostro interlocutore non sia quella più ragionevole.

Un webinar sull’Intelligenza Emotiva

L’empatia è una delle caratteristiche dell’Intelligenza Emotiva. Su questo argomento la prossima settimana, riparte un nuovo webinar che all’empatia dedicherà una sessione specifica.

Essere persone empatiche ci preserva da comportamenti egoistici, ci mette in connessione con gli altri e ci fa sentire persone persone di valore. Accresce e aumenta la nostra autostima. E ci fa sentire tutti Ubuntu…Che è un bel sentire…

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Le 10 chiavi della felicità

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Oggi, 20 Marzo, è la Giornata Mondiale della Felicità.

Propongo una classifica delle 10 chiavi della felicità. Sono frutto di una riflessione personale, unita suggerimenti da parte di Action for Happiness, organizzazione che conta oltre 115 mila persone in 174 paesi.

Conosci te stesso

Conosci te stesso – γνῶϑι σεαυτόν è scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, luogo da cui emana ancora oggi tanta energia. E conoscere se stessi è la base per poter vivere una vita serena, autentica, consapevole.

Gratitudine

Provare gratitudine- Il tema della gratitudine è un tema al quale faccio ricorso sempre, perché mi è molto caro. Significa essere consapevoli di tutto ciò che si ha, di ciò che la vita ci regala ogni giorno. Un atteggiamento grato si accompagna ad un atteggiamento volto a vedere quello che abbiamo senza soffermarsi sulle mancanze

Avere buone relazioni

Coltivare le buone amicizie, buoni rapporti con i famigliari improntando sempre tutte le relazioni alla comprensione, all’accoglienza, all’inclusione, all’aiuto verso chi ha bisogno, alla presenza. Avere buone relazioni è anche indice di Intelligenza Emotiva.

Avere un obiettivo

Quanta soddisfazione proviamo quando raggiungiamo i nostri traguardi? Quando, dopo aver messo a fuoco ciò che vogliamo raggiungere, esaminiamo le risorse a nostra disposizione, realizziamo il nostro piano d’azione e siamo in grado, infine, di raggiungere i nostro obiettivi non ci sentiamo felici? Da Coach provo una grande soddisfazione quando vedo i miei Coachee felici e soddisfatti per aver ottenuto la gratificazione di veder concretizzato ciò che desideravano da tempo. Qui la felicità è doppia: mia e dei miei Coachee.

Imparare cose nuove

Non si finisce mai di imparare e l’apprendimento è uno stimolo continuo ad evolversi, crescere, cercare sempre più risposte, che producono nuove domande. E’ la gioia della conoscenza, una fonte che non esaurisce mai.

Essere gentili

Alla gentilezza abbiamo dedicato numerosi articoli. Essere gentili fa bene. Si produce più ossitocina, uno degli ormoni del benessere. L’Università della British Columbia ha condotto uno studio su un gruppo di persone ansiose. Dopo che queste hanno compiuto atti di gentilezza per un mese, gli stati d’animo d’ansia sono diminuiti e sono aumentati gli stati d’animo positivi.

Accettarsi

Accettare se stessi per come si è, rispettarsi, amarsi è un altro importante elemento per poter vivere una vita felice. Stare bene con sé stessi significa anche avere relazioni soddisfacenti con gli altri. Non dimentichiamolo. Se non siamo noi i primi a volerci bene, come possiamo pretendere che lo facciano anche gli altri?

Avere un atteggiamento positivo

Cerchiamo di vedere il mondo con occhi positivi, esaltando ancora una volta quello che di bello esiste nella nostra vita. Un atteggiamento positivo è anche un atteggiamento di grande resilienza, che ci aiuta a risollevarci velocemente dalle situazioni difficili.

Avere tempo libero

Il tempo è una risorsa sempre più preziosa. Aver tempo per sé stessi, per dedicarsi alle proprie passioni. Tempo da dedicare alle persone care. Fermarsi a riflettere, dedicarsi all’ozio creativo, come dice il sociologo De Masi.

Dare un significato alla nostra vita

Avere uno scopo, un fine verso il quale dirigersi. Capire qual è il nostro posto del mondo. Non si tratta di avere un obiettivo. E’ più profondo. E’ il senso della vita . Questa è la felicità. ” Perché lo scopo della nostra vita è essere felici” come dice Sua Santità il Dalai Lama
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Pessimista o ottimista? E’ una questione di prospettiva

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Sapete qual è la domanda giusta da porsi di fronte alle difficoltà ? ” Cosa ho bisogno di imparare da questa situazione e come posso crescere”? E’ questo l’approccio giusto per superare ogni situazione difficile. Perché da ogni circostanza, anche la più disastrosa, abbiamo sempre la possibilità di poter trarre insegnamenti e stimoli per poter cambiare, crescere, evolverci. Non si tratta semplicemente di aver un atteggiamento ottimista, resiliente. Certo non guasta. Ma di avere la capacità di osservare le situazioni da una prospettiva differente.

Il principio del reframing

Si tratta del principio del reframing, che consiste nel cambiare il significato di una situazione, di un modello comportamentale, o di un problema, attribuendogli una diversa immagine. Il mutamento della percezione è seguito da un cambiamento del significato della situazione, e la conseguenza è un cambiamento nelle reazioni e nei modelli comportamentali. E’ una prospettiva che si basa quindi sulla ricerca di un’intenzione positiva piuttosto che negativa. Gli ottimisti passano la loro vita riformulando le esperienze. Cercano automaticamente il positivo in ogni situazione e la reinterpretano per applicare un significato positivo all’esperienza. I pessimisti, invece, si comportano in maniera opposta. Interpretano le loro esperienze di vita andando automaticamente a cercare le situazioni negative. Il reframing fornisce una diversa prospettiva nel vivere un’esperienza.

Saper cogliere le opportunità

L’approccio positivo è quello, quindi, che ci consente non solo di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma anche di poter cogliere le opportunità che ogni circostanza comporta. E’ stato l’approccio che ci ha aiutato durante questi mesi difficili della pandemia. Quello spirito resiliente e ottimista, che ci ha permesso di cogliere le opportunità di una sosta forzata. C’è chi ha approfittato per riprendere a studiare, fare esercizi fisici seguendo tutorial o corsi on line. Grazie al benedetto zoom – lunga vita a chi lo ha inventato- abbiamo potuto seguire webinar, lavorare in smartworking, rimanere connessi con amici e parenti. Io e le mie amiche colleghe art therapist, Saba & Maryam, abbiamo potuto realizzare un’infinità di workshop di ArtCoaching e costruire una vera a propria community con tutte ( abbiamo avuto anche una presenza maschile, a dire la verità) coloro che ci hanno seguito durante quest’anno di incontri online, con persone, tra l’altro dislocate in altre città. Situazione che non si sarebbe mai potuta realizzare dal vivo. Io ho imparato a ideare e realizzare webinar, come quello sull’intelligenza emotiva, moderare dibattiti, realizzare dirette sui diversi canali social. Mai avrei creduto di poterlo fare anche solo un anno fa. Queste le cose che ho imparato, grazie a questa situazione di difficoltà, per rispondere alla domanda d’esordio.

Le imprese resilienti

Un interessante articolo pubblicato su D di Repubblica la scorsa settimana ha raccontato storie di aziende e professionisti che hanno saputo reinventarsi in quest’anno di lockdown , cambiando paradigma o addirittura settore di attività. Minimo comun denominatore di queste storie di resilienza, un atteggiamento ottimista, che non ha li fatti perdere d’animo, ma indotti a inventare, progettare, realizzare. Cogliere sempre le opportunità, che si nascondono sempre dietro a qualsiasi circostanza. E’ l’approccio vincente. Da pessimista a ottimista.

Gli esercizi di Coaching

Come di consueto, vi invito a prendere carta e penna e a fare un esercizio di Coaching. Fate un elenco di tutte quelle circostanze nelle quali da un episodio negativo si è prodotta una circostanza positiva. Provo a darvi qualche suggerimento:

  • la fine di una relazione sentimentale
  • la perdita del posto del lavoro
  • un’idea di business che non ha funzionato

Sono semplici esempi di situazioni, che al principio ci hanno sicuramente gettati nello sconforto, ma che con l’andare del tempo si sono trasformati in una nuova condizione di vita, che ci ha regalato in seguito gioie e soddisfazione. Io dal canto mio, se non avessi chiuso un rapporto di lavoro, non avrei studiato per diventare Coach e non avrei mai scoperto che questa sarebbe stata la professione che mi ha dato e mi sta dando tante soddisfazioni. E voi, cosa vi ha portato a cambiare la vostra vita, trasformando un fatto negativo in positivo ? Se volete condividere con me la vostra esperienza ne sarei davvero molto felice.

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7 consigli per ridurre lo stress

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Ieri ho provato consolare la mia adorata nipote Giulia, disperata perché a causa di una compagna di classe positiva al tampone, dovrà stare in quarantena fiduciaria e quindi non potrà andare a scuola. Ho percepito e capito quanto stress questa notizia ha causato a lei e a tutti i suoi amici e compagni. Questa situazione purtroppo si ripete ogni giorno in ogni città. Lo stress che questo provoca ai bambini e ai ragazzi è davvero enorme. Per cercare di consolarla, ho cercato di usare tecniche da Coach: farla focalizzare sugli aspetti positivi che questa situazione di disagio per lei può però offrirle. Non alzarsi presto la mattina, mangiare con il papà, che è in smart working, vedere il fratellino…Insomma, la tecnica è stata quella di farla concentrare sui pensieri positivi. Ha funzionato. Quindi se ha funzionato su una ragazzina di 11 anni, perché non dovrebbe funzionare sugli adulti, come rimedio contro lo stress?

Dissociarsi dalle emozioni

Il principio è semplice : cercare di dissociarsi dall’emozione negativa che stiamo provando. Portare la nostra mente a vedere e percepire qualcosa che genera invece uno stato di piacere, benessere. Una modalità che aiuta a produrre ossitocina, l’ormone che fa automaticamente diminuire lo stress e le emozioni negative. Proviamo a vedere qualche altra tecnica per potersi allontanare da uno stato di stress emotivo. Ve ne propongo 7. Vediamoli insieme.

1.Usare la terza persona

Usare il proprio nome anziché la prima persona “Io” ci aiuta a dissociarci dall’emozione, separarcene. Vederla staccata da noi ci dà la percezione che non ci appartenga. Non sono io a provare quell’emozione, ma qualcun altro, una terza persona. Quindi perché devo sentirmi coinvolto emotivamente se non sono io?

2. Osserva quello che sta accadendo

Invece di essere avvolti dallo situazione stressante, facciamo un passo indietro e osserviamo quello che sta succedendo a noi, ai nostri pensieri. Com’è il nostro respiro? E’ affannato? Prendiamone consapevolezza e iniziamo a respirare ad un ritmo regolare, con profondi inspiri ed espiri. Tecnica semplice, ma molto efficace.

3. Smettere di combattere l’emozione

Invece di porsi in uno stato di antagonismo con l’emozione che genera lo stress, ingaggiando una sorta di battaglia interiore, provate ad accoglierla, accettarla. E’ attraverso l’accettazione che operiamo un cambiamento nei confronti dell’emozione.

4. Sposta l’attenzione

E’ quello che ho fatto io con Giulia: spostare il focus su qualcosa di diverso. Un pensiero positivo, che induce alla calma. Riportare alla memoria il ricordo di un momento in cui siamo stati felici. Una bella esperienza passata, che ci ha divertito. Il pensiero negativo, fonte di stress viene annullato e scompare magicamente.

5. Riducilo a pezzettini

Spesso quando ci sentiamo stressati o sopraffatti dalle circostanze è perché cerchiamo di fare tutto in una volta. Provate a ridurre in piccole parti le attività che occorre realizzare. E’ utilissimo e molto efficace perché realizzare e portare a termine il micro-obiettivo rafforza la nostra motivazione a autostima. Raggiungere il nostro obiettivo, per piccolo che sia, ci fa sentire fieri e orgogliosi di noi oltre che porci in uno stato mentale positivo.

6. Metti in pausa

Se state affrontando un momento che vi genera uno stato di ansia o stress, mettetevi in pausa per 7 minuti. Puntate un timer sull’orologio o sul cellulare e per 7 minuti fate qualcosa di completamente diverso. Alzatevi, fate una passeggiata, bevete un bicchier d’acqua. Qualsiasi cosa che vi distolga da quella situazione per cui stavate provando uno stato d’animo negativo. Passati 7 minuti riprendete quello che state facendo. Sarete un’altra persona e vi sarete dimenticati dell’emozione stressante. Ve lo assicuro.

7. Parla con qualcuno a cui tieni

Prendetevi qualche minuto per parlare con la persona che vi fa stare bene. Non ditele ovviamente che vi sentite stressati. Basta dire che volevate sentire la sua voce e concentratevi proprio sul tono, il volume, sulle parole che sta pronunciando. Se proprio volete strafare, ditele o ditegli quanto tenete a lui o a lei. I sentimenti e le emozioni positive sono sempre la miglior medicina. Un rimedio infallibile per ridurre lo stress.

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